Grande Concilio della Chiesa Ortodossa

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Ieri, domenica 26 giugno 2016, a Kolymbari (Creta), si è concluso il Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa con la solenne celebrazione eucaristica per la festa di Tutti i santi.

Come ha sottolineato il Patriarca ecumenico Bartholomeos, che ha presieduto i lavori del concilio, si è trattato di “un evento di importanza capitale che negli anni e nei secoli che verranno prenderà il suo posto nella storia”. Il Concilio – lo ricordiamo – era stato convocato per volontà della “sinassi” dei capi delle chiese autocefale riuniti a Chambésy nel gennaio scorso. Quattro chiese (tra cui il Patriarcato di Mosca) nelle ultime settimane prima del concilio hanno rinunciato a parteciparvi. Ma rappresentanti delle altre chiese, rispettando gli impegni presi, si sono radunati alle date fissate; e non solo il Concilio è stato celebrato, ma si è rivelato un evento di comunione, in cui, nonostante le difficoltà, è prevalsa in modo netto la volontà di trovare l’unità.

È stato ancora il patriarca Bartholomeos, nel discorso finale, a riconoscerlo con molta franchezza di fronte a tutti i padri conciliari: “Ci sono state difficoltà; non tutto è stato facile e roseo; ci sono state asprezze, tensioni, malcontento, pessimismo sul risultato, ma alla fine c’è stato consenso, unità di sentire, accordo, unanimità. Tutti insieme abbiamo scritto la storia!”.

Il Concilio ha così potuto discutere e approvare all’unanimità, con una reale partecipazione di tutti i vescovi presenti, i Documenti sui sei temi all’ordine del giorno e una lunga Enciclica, che da una parte rappresenta una sintesi del contenuto dei documenti, dall’altra una parola evangelica di speranza rivolta al mondo per le situazioni critiche che l’umanità sta vivendo. Da questa enciclica è stato tratto un Messaggio più breve, scritto in un linguaggio più accessibile, rivolto al popolo ortodosso e a ogni uomo di buona volontà, che è stato letto solennemente domenica durante la liturgia eucaristica conclusiva.

In questo messaggio si sottolinea che “la priorità del Santo e Grande Concilio è stata di proclamare l’unità della Chiesa Ortodossa”, la quale non è affatto, come c’è la tentazione di pensare, una confederazione di chiese autonome, ma un’unica chiesa. Il Concilio è stata un’occasione per riscoprire questa verità, il primo passo di un cammino conciliare che non può e non deve terminare qui: i padri hanno infatti deciso che analoghi concili saranno convocati da ora in poi a scadenze regolari “ogni sette o dieci anni”. La conciliarità è infatti la dimensione propria della vita della chiesa (“La Chiesa in sé stessa è un concilio convocato da Cristo e guidato dallo Spirito santo”) e per questo il concilio deve tornare a diventare la sua regola e non restare una bella eccezione.

Il Concilio ha poi espresso la coscienza che “la chiesa non esiste per se stessa”, ma per il mondo: l’evangelizzazione fino agli estremi confini della terra fa parte della sua ragion d’essere. Questo però deve essere fatto nel rispetto profondo della dignità di tutti, e a più riprese è stata sottolineata l’assoluta necessità del dialogo, a vari livelli, ma soprattutto nel tentativo di ristabilire l’unità tra i cristiani e di promuovere la conoscenza tra i credenti delle varie religioni. Una condanna netta e senza equivoco è stata riservata all’esplosione del fondamentalismo che è “l’espressione di una religiosità malata”. Per contrastare questa violenza, l’unica soluzione è ancora il dialogo che “contribuisce in modo significativo alla fiducia reciproca, alla pace e alla riconciliazione”.

Preoccupazione è stata espressa per la situazione dei cristiani e delle minorità perseguitate in Medio Oriente, e si è fatto un forte appello alla comunità internazionale per la protezione dei cristiani così come di tutte le popolazioni della regione che “hanno un diritto inviolabile a rimanere nel loro paese d’origine”, e per trovare urgentemente soluzioni ai conflitti. Nel frattempo, da parte di tutti deve prevalere l’accoglienza e la solidarietà nei confronti di chi cerca rifugio ed è bisognoso di aiuto.

Uno sguardo positivo è stato rivolto al progresso delle scienze e della tecnologia, ma insieme ai numerosi benefici che tale progresso offre, si è sottolineato come esso presenti anche aspetti ambigui che richiedono vigilanza e una parola profetica da parte della chiesa, la quale sempre “mette l’accento sulla dignità dell’uomo e sul suo destino divino”.

In particolare, si sottolinea come l’attuale crisi ecologica sia “evidentemente dovuta a cause spirituali ed etiche. Le sue radici sono legate alla cupidigia, all’avidità e all’egoismo, che conducono a un uso irrazionale delle risorse naturali, all’inquinamento dell’atmosfera attraverso sostanze nocive e al riscaldamento climatico”. La Chiesa ortodossa in questo senso si fa portavoce di un “ethos ascetico” che propone un nuovo paradigma umano più rispettoso del creato e degli altri. Questi aspetti sono sottolineati in particolare del documento dedicato al digiuno.

Insomma, il Concilio della Chiesa Ortodossa ha rivolto uno sguardo ampio e pieno di misericordia sul mondo, cosciente che essa non può mai restare chiusa su di sé, ma deve sempre camminare accanto agli uomini e alle donne di ogni tempo. Tale responsabilità certamente deve avere come termine ultimo “la prospettiva dell’eternità”, ma non può mai dimenticare l’hic et nunc della storia.

Il Concilio, in fondo, è stato un grande invito rivolto alla chiesa intera e a tutti gli uomini a compiere un esodo da quella che l’arcivescovo Anastasios di Albania nel suo discorso iniziale ha definito “la più grande eresia, la madre delle eresie: l’egocentrismo, personale, collettivo, etnico, nazionale ed ecclesiale”.

In modo significativo, il messaggio del Concilio si conclude affermando che la “Chiesa Ortodossa, custodendo intatto il suo carattere mistico e soteriologico, è sensibile al dolore, alle angosce e al grido per la giustizia e la pace dei popoli. Essa proclama “di giorno in giorno la Sua salvezza, annunciando fra le genti la Sua gloria, tra tutti i popoli le sue meraviglie” (Sal 95)”.

I fratelli e le sorelle di Bose condividono la gioia per questo evento di comunione e continuano a pregare perché esso dia i suoi frutti, nella Chiesa ortodossa e in tutto il mondo.


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