Per le strade del mondo insieme

L’ arcivescovo di Canterbury Welby e papa Francesco il 6 ottobre in Vaticano
L’ arcivescovo di Canterbury Welby e papa Francesco il 6 ottobre in Vaticano

di Riccardo Burigana

«Siamo impazienti di progredire per poter essere pienamente uniti nel proclamare a tutti, nelle parole e nei fatti, il Vangelo salvifico e risanante di Cristo. Perciò riceviamo grande incoraggiamento dall’incontro di questi giorni tra così tanti Pastori cattolici e anglicani della Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM), i quali, sulla base di quanto vi è in comune e che generazioni di studiosi dell’ARCIC hanno accuratamente portato alla luce, sono vivamente desiderosi di proseguire nella missione di collaborare e nella testimonianza fino ai “confini della terra”. Oggi ci rallegriamo nell’incaricarli e nel mandarli avanti a due a due, come il Signore inviò i settantadue discepoli. La loro missione ecumenica verso coloro che si trovano ai margini della società sia una testimonianza per tutti noi, e da questo luogo sacro, come la Buona Notizia tanti secoli fa, esca il messaggio che Cattolici e Anglicani opereranno insieme per dar voce alla fede comune nel Signore Gesù Cristo, per portar sollievo nella sofferenza, pace dove c’è conflitto, dignità dov’è negata e calpestata»: questo è il passaggio conclusivo della Dichiarazione comune, sottoscritta da papa Francesco e dall’arcivescovo di Canterbury Justin Wleby, al termine della celebrazione ecumenica dei vespri, mercoledì 5 ottobre 2016, nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Monte Celio di Roma. Con questa celebrazione cattolici e anglicani hanno voluto, innanzitutto, ringraziare il Signore per il cammino di dialogo, di riflessione, di condivisione che è iniziato all’indomani della conclusione del concilio Vaticano II: infatti Paolo VI e l’allora arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey si incontrarono a Roma, il 23 marzo 1966, per aprire una nuova stagione nei rapporti tra cattolici e anglicani, alla luce del sole, dopo che nei decenni precedenti non erano mancati incontri e iniziative, sempre in forma riservata, con le quali si era cercato di superare le reciproche precomprensioni nella convinzione che cattolici e anglicani potessero dare un contributo specifico all’unità dei cristiani, anche se da prospettive e con speranze molto diverse. Tra questi incontri e iniziative, sui quali sarebbe opportuno promuovere una sistematica e analitica ricostruzione storico-teologica per non correre il rischio di identificare questa rete di rapporti semplicemente con le Conversazioni di Malines (1921-1925), che furono importanti ma non uniche, si deve ricordare il dialogo dell’arcivescovo Giovanni Battista Montini, a Milano, con una delegazione anglicana; nella storia dei rapporti tra Roma e Canterbury questo incontro ha assunto un’importanza del tutto particolare non solo per i temi affrontati in quella occasione, ma per il fatto che alcuni dei partecipanti di questo incontro si sarebbero poi ritrovati, pochi anni dopo, a Roma, per la celebrazione del concilio Vaticano II, dove, anche grazie a quanto era stato fatto «clandestinamente» per decenni, fu possibile cominciare a definire una nuova stagione di dialogo tra cattolici e anglicani nel quadro di un ripensamento più generale delle forme e del contenuto della partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico.

L’incontro del 23 marzo 1966 tra Paolo VI e l’arcivescovo Michael Ramsey aprì ufficialmente questa stagione, con degli atti concreti, come la creazione di un Centro Anglicano a Roma per favorire una migliore conoscenza della Comunione Anglicana, la nomina del rappresentante ufficiale dell’arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede e, soprattutto, la sottoscrizione di una Dichiarazione Comune, sottoscritta il giorno dopo il 24 marzo, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura. Questa Dichiarazione indicava delle prospettive teologiche per un dialogo ecumenico che «fondato sui Vangeli e sulle antiche tradizioni comuni, conduca a quella unità nella Verità per cui Cristo pregò». A partire dal 1966 cattolici e anglicani si sono così impegnati a approfondire e a sviluppare questo dialogo, attraverso una Commissione mista internazionale anglicana-cattolica romana (ARCIC) di cui abbiamo già parlato in questa sede. Nell’ambito del dialogo ufficiale tra cattolici e anglicani si è avuto un altro passaggio significativo, con la fondazione della Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM), nel 2000, «per tradurre in passi concreti il grado di comunione spirituale raggiunto».

Nonostante l’emergere di nuove questioni, soprattutto nel campo dell’etica e nella riflessione ecclesiologica, che hanno creato difficoltà nel dialogo ecumenico tra cattolici e anglicani, tanto da far dire a qualcuno che questo dialogo si era avviato su un binario morto, l’ARCIC ha iniziato una terza sessione di lavoro, che si è aperta con un incontro tenutosi a Bose dal 18 al 27 maggio 2011.

La celebrazione ecumenica nella Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Monte Celio del 5 ottobre voleva quindi essere un momento di ringraziamento per questi cinquant’anni di dialogo ufficiale tra cattolici e anglicani, dove numerosi e significativi sono stati i passi compiuti per la formulazione di una teologia ecumenica rispettosa delle peculiarità delle diverse tradizioni così come si sono sviluppate nei secoli di silenzio, ponendo l’accento sul patrimonio biblico-teologico che costituisce una fonte sempre viva per il cammino ecumenico nella riscoperta della vita delle comunità cristiane delle origini.

La celebrazione ecumenica è stata un’occasione speciale per ringraziare il Signore per il passato e per ricordare quanto il cammino ecumenico deve affidarsi alla preghiera quotidiana, ma è stata voluta anche come momento privilegiato nel quale manifestare quanto cattolici e anglicani considerino centrale la missione dell’annuncio e della testimonianza della Parola di Dio: una missione che non può che essere ecumenica, cioè realmente condivisa in tutto e per tutto, fin dalla lettura delle diverse tradizioni come doni che richiamano una profonda unità alla quale tutti i cristiani sono chiamati a vivere nella luce di Cristo che cambia il mondo. La benedizione impartita da papa Francesco e dall’arcivescovo Welby ai vescovi, inviati a due a due, uno cattolico e uno anglicano, nel mondo, ha mostrato, in modo chiaro e inequivocabile, come il tornare alla comunità evangelica delle origini aiuta i cristiani a riscoprire quanto già li unisce e quale deve essere lo scopo della ricerca dell’unità: l’annuncio della buona novella con rinnovata forza e maggiore efficacia. Tornare alla centralità della missione in prospettiva ecumenica significa anche ripensare alle origini del movimento ecumenico contemporaneo, come lo stesso papa Francesco ha ricordato, nella sua riflessione nella durante la preghiera ecumenica, citando la conferenza missionaria internazionale di Edimburgo dove «fu proprio il fuoco della missione a permettere di iniziare a superare gli steccati e abbattere i recinti che ci isolavano e rendevano impensabile un cammino comune».

La preghiera ecumenica è stata seguita, il giorno dopo, il 6 ottobre, dall’incontro di papa Francesco con i Primati delle Provincie Anglicane, al seguito dell'arcivescovo di Canterbury, dove il pontefice ha posto ancora una volta l’accento su «preghiera, testimonianza, missione», come elementi fondamentali per proseguire il «cammino comune» con il quale i cristiani devono viverre la comunione visibile dell’unità nella diversità per andare insieme per le strade del mondo per annunciare Cristo, Salvatore delle genti.