Ministero petrino

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Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie!  … E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”. Con queste parole papa Francesco si è presentato alla loggia di San Pietro la sera della sua elezione, il 13 marzo 2013: vescovo di Roma, chiesa che presiede nella carità tutte le chiese. È questo il cuore del ministero petrino, un ministero di comunione: non a caso la sottolineatura di papa Francesco è stata colta dai Patriarchi delle Chiese ortodosse – e dal Patriarca ecumenico Bartholomeos in particolare – come un chiaro segno di apertura a una diversa modalità di esercizio del servizio papale.

Se infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma, riprendendo il concilio Vaticano II che “il Papa, vescovo di Roma e successore di san Pietro, ‘è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli. Infatti il romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente’ [Lumen gentium, 22]” (CCC 882), le forme e le modalità in cui questo ministero è stato svolto nel corso dei secoli hanno subito variazioni a volte anche profonde.

Questo ministero, voluto da Cristo stesso (cf. Mt 16,18-19), è per la chiesa cattolica essenziale alla propria vita, ma la forma e lo stile del suo esercizio non solo possono ma devono essere riformate, affinché la chiesa sia sempre più conforme alla volontà del suo Signore. Già Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995) aveva chiesto una riforma del papato, spingendosi addirittura a chiedere alle altre chiese non nella comunione cattolica di esprimersi, in modo da giungere all’obbedienza al Signore che ha voluto Pietro quale servo della comunione, colui che conferma la fede dei fratelli: Tra tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, la Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il ministero del Successore dell'apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha costituito quale "perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità", e che lo Spirito sostiene perché di questo essenziale bene renda partecipi tutti gli altri. Secondo la bella espressione di Papa Gregorio Magno, il mio ministero è quello di servus servorum Dei. Tale definizione salvaguarda nel modo migliore dal rischio di separare la potestà (e in particolare il primato) dal ministero, ciò che sarebbe in contraddizione con il significato di potestà secondo il Vangelo: "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27), dice il Signore nostro Gesù Cristo, Capo della Chiesa. D'altra parte, come ho avuto modo di affermare nell'importante occasione dell'incontro al Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 12 giugno 1984, la convinzione della Chiesa cattolica di aver conservato, in fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei Padri, nel ministero del Vescovo di Roma, il segno visibile e il garante dell'unità, costituisce una difficoltà per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da certi ricordi dolorosi. Per quello che ne siamo responsabili, con il mio Predecessore Paolo VI imploro perdono. […] Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti "dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina". In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità. […] È per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri". Compito immane, che non possiamo rifiutare e che non posso portare a termine da solo. La comunione reale, sebbene imperfetta, che esiste tra tutti noi, non potrebbe indurre i responsabili ecclesiali e i loro teologi ad instaurare con me e su questo argomento un dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche, avendo a mente soltanto la volontà di Cristo per la sua Chiesa, lasciandoci trafiggere dal suo grido "siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21)”. (UUS 88-89, 95-96).

Nella Evangelii gaudium Francesco confessa che purtroppo su quella strada “siamo avanzati poco in questo senso” (EG §32); ma proprio per questo ha avviato una consultazione, una ricerca affinché si possa trovare, soprattutto con le chiese ortodosse e d’oriente, una forma dell’esercizio del ministero petrino che tenga conto della sinodalità tanto irrinunciabile quanto vissuta dalle chiese d’oriente. “L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito santo … se noi camminiamo insieme” (Omelia a San Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 2014). Con questa convinzione – dice ancora Francesco nella Evangelii gaudium – “devo pensare a una conversione del papato. A me spetta, come vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli … Il papato e le strutture centrali della chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello a una conversione pastorale (EG § 32).

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