La nostra chiamata all’unità, ieri e oggi

Una foto dell'incontro a Bossey (Svizzera)
Una foto dell'incontro a Bossey (Svizzera)

di Olav Fykse Tveit*

Ai nostri giorni, lo scopo e gli obiettivi del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) sono più rilevanti che mai. La polarizzazione nelle sue diverse forme, il crescente divario tra ricchi e poveri, l’estremismo e la violenza, i timori per il futuro della stessa Terra e il rifiuto di assumersi la responsabilità per il futuro del nostro ambiente comune e del nostro futuro costituiscono una minaccia costante a ciò per cui ci battiamo, ciò che facciamo e quelli che sono i nostri valori e la nostra visione del mondo. Ciò è emerso chiaramente in occasione dei nostri sforzi per dare vita a un Pellegrinaggio di Giustizia e Pace: così tante sono le situazioni e le persone che desiderano e lottano affinché la giustizia, la riconciliazione e la pace possano portare una nuova luce e la speranza nelle loro vite.

Il CEC è coinvolto in questo desiderio e in queste lotte, con le sue preghiere e il suo lavoro sul campo, da quasi settant’anni; e per questo, sulla base della realtà in cui viviamo, credo che sia necessaria una nuova “ricerca dell’unità”. In questo rapporto al Comitato esecutivo, intendo affrontare il modo in cui il CEC contribuisce, attraverso le sue diverse attività, all’unità della chiesa, e come l’unità che riusciamo a esprimere contribuisca all’unità dell’umanità.

Lungo tutta la sua storia, il CEC si è sempre impegnato tanto per l’unità della chiesa quanto per il servizio e la testimonianza comune per la giustizia e la pace nel mondo; nel tenere unite le due dimensioni dello scopo e della sua identità che esprimono la sua vocazione, le sfide sono state numerose e disparate, e abbiamo molto da imparare dai vari tentativi di metterle insieme.

Riguardo alla chiamata all’unità, vedo un paesaggio che può essere interpretato in almeno due modi diversi. Da un primo punto di vista, il movimento ecumenico attraversa una fase critica, segnata da elementi divisivi e dinamiche antiecumeniche in molte delle chiese che fanno parte del CEC, e aldilà di esso. Si lotta per “l’anima del cristianesimo”: dobbiamo essere protettivi, perfino escludenti, o al contrario cercare di abbracciare la diversità che Dio ci ha dato e dedicarci a un’apertura ecumenica, a iniziative comuni? Secondo un altro punto di vista, molto diffuso, è il momento migliore per muoverci insieme, come pellegrini che lavorano e pregano insieme per la giustizia e la pace, segni che il regno di Dio è presente fra noi. L’alternativa non è tra apertura al Vangelo o alla tradizione ecclesiale, il punto è come comprendiamo il Vangelo quale base e correttivo al modo in cui lo interpretiamo e viviamo nelle nostre rispettive tradizioni, oggi.

La chiamata all’unità è la base di tutto ciò che facciamo, e dobbiamo ricordarci ancora, e sempre, ciò che questa vocazione comporta riguardo all’impegno di superare realmente le nostre divisioni storiche e di operare per un’unità che rappresenti la giustizia e la pace. Non è un esercizio di stile che si limiti all’aspetto superficiale dei problemi; si tratta di penetrare in profondità nelle nostre vite e nelle nostre priorità. Questo impegno ha un prezzo, è costoso, se davvero siamo seri.

L’unità che cerchiamo è un’unità nella gioia e nella festa, in cui tutti possono partecipare, e non soltanto l’argomento di dichiarazioni o il tema di una discussione. Dobbiamo porre saldamente nelle nostre menti, nei nostri cuori, nelle nostre mani che siamo chiamati a essere una cosa sola, perché il mondo creda che Gesù Cristo è stato inviato dal Dio unico. Siamo chiamati a divenire testimoni nel mondo della rivelazione dell’amore di Dio, perché il mondo creda nel futuro di Dio, perché il mondo possa nutrire speranza. Dobbiamo cercare l’unità nella fede, nella speranza e nella carità.

Un altro punto di vista della dimensione teologica della nostra ricerca dell’unità è contenuto nelle celebri considerazioni di san Paolo sull’unità del corpo di Cristo nei capitoli 12-14 della Prima lettera ai Corinti. Il legame tra la sfida e il problema dell’ecumenismo e la sua risposta e soluzione è descritta come la “via migliore di tutte”, la carità. Gli sforzi dell’ecumenismo non possono portare frutto se manca una comprensione profonda di cosa significhi vivere insieme nel corpo di Cristo, nell’amore di Cristo. Ciò ci porta a un livello di compagnia e di unità che potrebbe sembrarci ovvio, ma sappiamo, per esperienza, che questo è il nocciolo di tutti i tentativi di superare divisioni e conflitti. Poiché è necessario fare chiarezza sulle questioni che dividono la chiesa, siano esse teologiche o pratiche, non è possibile scindere il dialogo della verità dal dialogo della carità: essi sono intrecciati in ognuno dei nostri tentativi. Questo approccio all’unità è, naturalmente, anche uno dei fondamenti della connessione tra l’impegno per l’unità della chiesa e quello per l’unità del mondo. Dev’essere visto come un’espressione dell’amore di Dio, donato a noi in Cristo, che dobbiamo condividere nella compagnia della chiesa e nello sforzo di portare unità in questo mondo spezzato.

La chiamata all’unità non è obsoleta, è più urgente che mai. La chiamata all’unità nella testimonianza comune e condivisa di Cristo è un aspetto centrale del nostro essere l’unica chiesa di Gesù Cristo. Le sfide che affrontiamo nel movimento ecumenico e nel CEC per esprimere pienamente questa unità non ci devono portare ad ignorare la chiamata ad essere una cosa sola; devono, al contrario, spingerci a impegnarci di più e a riflettere di più su cosa significhi essere una cosa sola.

Spero che, nel cammino verso la nostra XI assemblea, non rifuggiamo dalla riflessione sulla nostra vocazione a chiamarci gli uni gli altri all’unità, benché al momento non siamo in grado di compiere tutte le aspirazioni e le speranze di un’unità ecclesiale piena e visibile. Credo però che le prossime generazioni chiederanno sempre più che sia espressione dell’unità nella diversità, influenzando i contributi delle chiese perché vi siano più giustizia, più pace, più unità in un mondo tanto polarizzato e ingiusto, ma al tempo stesso sempre più interconnesso. La rilevanza del CEC non è destinata a diminuire ma a crescere, perché esso può essere lo strumento per stabilire nuovi programmi e produrre nuove idee e nuove iniziative che portino una speranza reale per il mondo.

* Pubblichiamo alcuni stralci del Rapporto che il Segretario generale del Consiglio Ecumenico della Chiese ha tenuto al Comitato esecutivo svoltosi a Bossey (Svizzera) lo scorso mese di giugno. Il testo integrale in inglese è disponibile sul sito del CEC.