La Chiesa ortodossa Tawāḥedo d’Etiopia

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La Chiesa ortodossa Tawāedo (“unitaria”) ha caratteristiche peculiari rispetto alle altre Chiese dell’Africa nera. Oltre ad essere la prima Chiesa africana, insieme a quella della Nubia, non è nata in seguito all’opera missionaria occidentale. Pur dipendendo giuridicamente dalla Chiesa copta dalle origini fino al 1959 (ragion per cui viene talora designata impropriamente come Chiesa copta etiope), ha avuto una sua storia autonoma. Essa mantenne nel corso dei secoli alcune tradizioni giudaiche, precedenti all’evangelizzazione del paese.

Secondo la leggenda, la regina di Saba, la cui storia è narrata nella Bibbia (cf. 1Re 10,1-13; 2Cr 9,1-12), ebbe un figlio da Salomone, Menelik, che recatosi in visita dal padre, ritornò in patria portando con sé l’arca dell’alleanza e le tavole della Legge di Mosè. Gli etiopi si sarebbero allora convertiti all’ebraismo, preparando il terreno al cristianesimo che sarebbe entrato in Etiopia per opera del ministro della regina Candace che era stato battezzato dal diacono Filippo (cf. At 8,26-39). Lo storico Rufino di Aquileia (345-410) racconta che due giovani schiavi siriani, Frumenzio ed Edesio, vissuti all’inizio del iv secolo, riuscirono a conquistarsi la fiducia del re d’Etiopia. Frumenzio, nominato primo ministro, si recò ad Alessandria di Egitto per chiedere al patriarca Atanasio che si prendesse cura dei cristiani etiopi e questi consacrò vescovo lo stesso Frumenzio, venerato in seguito come abba Salama.

Alcune iscrizioni risalenti al iv secolo attestano che il re di Axum, Ezana, si convertì al cristianesimo che da allora divenne religione di stato. Nel corso del V secolo e del VI secolo gruppi di monaci siri, probabilmente di tradizione teologica miafisita, si dedicarono all’evangelizzazione del paese e alla traduzione delle Scritture e delle opere patristiche nella lingua locale, il ge‘ez, appartenente al ceppo semitico. Dopo la caduta del regno di Axum, la Chiesa etiopica conobbe un’epoca di splendore sotto il re Lalibela (regnò dal 1190 al 1225 ca.) cui è attribuita la costruzione delle chiese monolitiche della città che ancora oggi porta il suo nome. Dal 1270, sotto la nuova dinastia che si vantava di discendere da re Salomone, il cristianesimo si diffuse anche nel sud del paese, si provvide inoltre alla revisione delle antiche traduzioni della Bibbia e alla composizione di testi per la liturgia e la catechesi. Fu una stagione di grande fioritura anche per il monachesimo; ricordiamo in particolare due monaci venerati come santi, Takla Hāymānot, guida spirituale del monastero di Debra Libanos (dove ancor oggi vivono centinaia di monaci e di monache) ed Eustazio, fondatore di un monastero nel nord. Una grande riforma religiosa si ebbe al tempo del re Zar’a Yāqob (1434-1468) che si adoperò per una purificare il cristianesimo da pratiche pagane e per ricondurre all’unità la Chiesa lacerata da dispute teologiche. Inviò anche dei delegati al concilio di unione di Ferrara-Firenze (1438-1441).

Negli anni della resistenza contro l’invasione dell’Islam, l’Etiopia chiese aiuto al Portogallo; questo fatto favorì l’ingresso nel paese di missionari cattolici. Se la prima missione cattolica non ebbe grande successo, all’inizio del xvii secolo, fu ripresa da p. Pietro Paez, uomo di eccezionale cultura, che indusse il re Susenyos (1607-1632) a concedere il passaggio dei cristiani etiopi al cattolicesimo. La Chiesa fu dolorosamente lacerata; i cristiani rimasti fedeli alla loro tradizione furono perseguitati e il patriarca cattolico inviato da Roma procedette a una vasta latinizzazione. Ne seguì una ribellione che indusse il re a rimettere in vigore gli antichi riti. Sotto il suo successore, i missionari latini furono espulsi. Per circa due secoli l’Etiopia rimase isolata dall’Occidente e la Chiesa fu lacerata al suo interno da dispute teologiche che portarono a volte a scontri violenti. La cosiddetta “era dei giudici” (1769-1856), una stagione di anarchia, una delle epoche più tristi della storia dell’Etiopia, favorì la diffusione dell’Islam. L’impero fu restaurato nel 1856, con Tewodros II (1856-1858).

L’Etiopia conobbe un processo di modernizzazione soprattutto ad opera del negus Hailé Selassié (1930-1974), il cui regno fu funestato dall’occupazione italiana, che ha lasciato tristi ricordi tra cui l’uccisione di due vescovi e 1600 monaci e pellegrini del monastero di Debra Libanos in rappresaglia per l’attentato al viceré Rodolfo Graziani. In quegli stessi anni si acuirono le tensioni con la Chiesa copta. Nel 1929, al momento dell’elezione di Cirillo III, scelto, secondo la plurisecolare tradizione, tra i monaci egiziani, la Chiesa etiopica aveva ottenuto l’ordinazione episcopale di cinque suoi monaci, i primi etiopi a ricevere l’ordinazione episcopale e, nel 1936, elesse patriarca uno di questi vescovi, Abreha che consacrò altri tre vescovi etiopi. Il patriarca copto rispose a questo gesto con la scomunica contro Abreha, i vescovi da lui ordinati e quanti avessero riconosciuto la loro autorità. Le tensioni si placarono nel 1959, dopo lunghe trattative; il patriarca di Alessandria Cirillo VI elesse il vescovo etiope Basilios alla dignità di primo patriarca di Etiopia. Destituito l’imperatore Hailé Selassié nel 1974 dal Consiglio militare amministrativo provvisorio (Derg) presieduto dal colonnello Menghistu, l’allora patriarca Tewophilos fu a sua volta destituito, arrestato e quindi ucciso in carcere; altri cinque arcivescovi, tra i quali l’abuna Pawlos – che diventerà patriarca nel 1992 – rimasero in prigione sette anni senza subire un regolare processo. Nel 1976 il governo nominò un nuovo patriarca mentre il patriarca precedente era ancora in vita; il patriarca copto Shenuda III si rifiutò di riconoscerlo. Con la caduta del Derg, il patriarca Marqorewos (1988-1991), nominato dal governo, si dimise e si rifugiò in Kenya. Abuna Pawlos, eletto patriarca nel 1992, resterà in carica fino alla sua morte nel 2012. L’attuale patriarca della Chiesa d’Etiopia, con sede ad Addis Abeba, è abuna Mathias (eletto il 28 febbario 2013).

Durante i secoli in cui la Chiesa etiopica dipendeva canonicamente da quella copta, accanto alla figura del metropolita, autorità suprema appunto inviata dall’Egitto, vi era quella dell’ecciaghé, superiore di tutti i monasteri maschili e femminili, scelto tra gli abati etiopi. Tale funzione, ricoperta inizialmente dal responsabile del monastero di Stephanos, passò dopo il 1445 a quello di Debra Libanos. Oggi il patriarca porta anche il titolo di arcivescovo di Axum e di ecciaghé. Il Santo Sinodo, composto dal patriarca e da tutti i vescovi, si riunisce varie volte all’anno. Un sinodo permanente di cui fanno parte, oltre al patriarca, il segretario generale e tre vescovi, affronta le questioni più urgenti.

Il territorio canonico della Chiesa etiopica corrisponde all’attuale Repubblica etiopica. La Chiesa eritrea, resasi indipendente con la creazione del nuovo stato, ha un proprio patriarca e un proprio sinodo.

La lingua liturgica è il ge‘ez sia in Etiopia sia in Eritrea. Gli etiopi seguono il calendario giuliano e computano gli anni dalla creazione del mondo che fanno risalire al 5493 a.C. Ogni anno, che riceve il nome di un evangelista, comprende dodici mesi di trenta giorni e un tredicesimo di cinque giorni (sei negli anni bisestili). La liturgia, assai particolare, si è arricchita nel corso dei secoli di elementi copti, siriaci e di altre Chiese orientali pervenuti tramite la comunità etiopica presente in Terra santa. Vengono tuttora osservate molte pratiche ebraiche e prescrizioni della legge di Mosé, quali la circoncisione dei bambini maschi l’ottavo giorno dopo la nascita e la presentazione del neonato, conformemente a quanto prescritto nel Levitico (12,1-7). L’influsso ebraico è ravvisabile anche nei luoghi di culto, che riprendono la struttura del tempio di Gerusalemme. Il popolo è estremamente religioso; la vita è scandita dal calendario liturgico che prevede lunghi periodi di digiuno o di astinenza. Molto diffusa è la pratica dei pellegrinaggi, spesso realizzati a piedi, in santuari, nella città di Axum, a Lalibela e a Gerusalemme. I sacramenti corrispondono a quelli della Chiesa cattolica. I preti, in massima parte coniugati, sono molto vicini alla gente ed esercitano un ruolo di paternità spirituale. Particolarmente rigoglioso è il monachesimo, sia maschile sia femminile, presente già alla fine del iv secolo.

La grande maggioranza dei cristiani della Chiesa ortodossa Tawāḥedo si trova in Etiopia. Alcune comunità negli Stati Uniti e in Canada raggruppano qualche migliaio di fedeli. Vi sono altre comunità più piccole a Gerusalemme, in Sudan, a Gibuti, in Kenya, nei Caraibi, in Inghilterra e in Italia. Le stime dei cristiani etiopi variano molto: dai 20 ai 50 milioni. La Chiesa ortodossa Tawāḥedo eritrea comprende circa 2 milioni di fedeli.

La Chiesa ortodossa etiopica ha partecipato all’istituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese e ne è tuttora membro al pari della Chiesa ortodossa eritrea.

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