500 anni dalla Riforma, 50 anni di vita della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

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di Luca Maria Negro* per Finestra ecumenica
*Pastore battista, Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI)

Cinquant’anni fa, il 5 novembre 1967, veniva costituita ufficialmente a Milano la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), espressione unitaria del protestantesimo italiano. Tra gli scopi della Federazione – come si legge nello Statuto – vi sono quelli di “manifestare l’unità della fede e ricercare una comune linea di testimonianza in Italia… coordinare e potenziare la testimonianza ed il servizio delle Chiese, Unioni di Chiese ed Opere che la compongono, nel riconoscimento reciproco e la valorizzazione dei loro doni particolari, nel quadro dell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato… incoraggiare il dialogo ecumenico con altre Chiese cristiane”.

La creazione della FCEI è l’approdo di una spinta unitaria espressa sin dalla fine dell’Ottocento, poi rilanciata dal primo Congresso evangelico italiano (1920), che tuttavia non poté realizzarsi (anche per l’avvento del fascismo) fino al dopoguerra. Solo nel 1965 il secondo Congresso evangelico pose le basi concrete per la creazione della Federazione, a cui però, contrariamente alle speranze di molti, finirono per aderire solo le chiese del cosiddetto “protestantesimo storico” e non altre denominazioni evangeliche nate tra il XIX secolo (come le Assemblee dei Fratelli e gli avventisti) e il XX secolo (come i pentecostali). Oggi fanno parte della FCEI battisti, Esercito della Salvezza, luterani, metodisti e valdesi, più alcune comunità a carattere locale o regionale. L’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste (UICCA) e la Federazione delle chiese pentecostali (FCP) hanno statuto di osservatori. La FCEI ha inoltre creato una speciale commissione dedicata ai temi della libertà religiosa (Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato), di cui fanno parte praticamente tutte le chiese evangeliche italiane.

Il cinquantenario della FCEI è stato ricordato un po’ in sordina, perché coincideva con un ben più significativo anniversario: il cinquecentenario della Riforma protestante, avviata il 31 ottobre 1517 da Martin Lutero con la pubblicazione delle 95 tesi sulle indulgenze. Abbiamo scelto di privilegiare questo “Giubileo della Riforma” anche perché speravamo che quest’anno di commemorazioni potesse costituire un’occasione propizia per rilanciare non solo il messaggio teologico della Riforma, ma anche il dialogo sia con le altre confessioni cristiane (cattolici e ortodossi) che con il mondo evangelico non federato. Una speranza che, possiamo dirlo ad anno quasi concluso, si è realizzata a tutti i livelli, anche oltre le nostre aspettative.

Sul piano del rapporto con il cattolicesimo il terreno è certamente stato ben preparato dal documento del 2013 della Commissione cattolico-luterana “Dal conflitto alla comunione. Commemorazione comune luterana-cattolica della Riforma nel 2017”. Ovviamente un impulso fondamentale è venuto dalla partecipazione di Papa Francesco all’apertura dell’anno della Riforma il 31 ottobre del 2016: che il Papa accettasse l’invito rivoltogli dalla Federazione luterana mondiale (FLM) non era affatto scontato, come ha sottolineato aprendo l’incontro il segretario generale della FLM, il pastore Martin Junge: “Ciò che sembrava impossibile è accaduto”.

Il Papa dunque ha dato il “la” alle commemorazioni, e i vari eventi che si sono svolti nel corso dell’anno, anche nel nostro Paese, si sono caratterizzati per un clima ecumenico positivo e per un nuovo sguardo dei cattolici su Lutero e sulle esigenze poste dalla Riforma. Fra i tanti eventi vorrei ricordare il convegno “Cattolici e protestanti a 500 anni dalla Riforma” (Trento, 16-18 novembre 2016), promosso dall’Ufficio nazionale ecumenismo e dialogo della Conferenza episcopale italiana in collaborazione con la FCEI; un analogo convegno, quest’anno allargato anche alla partecipazione ortodossa, si svolge dal 20 al 22 novembre ad Assisi, per riflettere sull’esigenza di “riforma” nel contesto attuale.

Sul piano dei rapporti con il mondo evangelico, siamo reduci da una esperienza molto positiva: la “Giornata della Riforma” che si è svolta il 28 ottobre a Roma, per iniziativa della FCEI, con la partecipazione di esponenti delle varie chiese e della cultura. Oltre a qualificate presenze del mondo cattolico (il cardinal Ravasi, il direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo don Cristiano Bettega e due esponenti della Comunità di Sant’Egidio, don Marco Gnavi e Cesare Zucconi), la giornata si è caratterizzata per la presenza di esponenti del mondo pentecostale e avventista. In particolare, il culto solenne di ringraziamento per i 500 anni dalla Riforma ha visto una predicazione a due voci che, di per sé, costituisce una novità significativa e impensabile fino a pochi anni fa: sul testo-guida della giornata, Galati 5,13 (“Voi siete stati chiamati a libertà…”) hanno infatti predicato una pastora, Maria Bonafede, già moderatora della Tavola valdese, e il neo-eletto presidente della Federazione delle chiese pentecostali, il pastore Carmine Napolitano.

La giornata del 28 ottobre è stata anche l’occasione per presentare ufficialmente una nuova traduzione biblica, il Nuovo Testamento della “Bibbia della Riforma”, realizzata dalla Società biblica in Italia e dalla Società biblica britannica e forestiera con il concorso di esegeti di tutte le chiese evangeliche.

Ma in questi mesi l’impegno ecumenico della Federazione delle chiese evangeliche non si è limitato solo alle iniziative per ricordare i 500 anni della Riforma. Vi è infatti un altro progetto ecumenico di grande rilevanza: quello dei Corridoi umanitari che la FCEI e la Chiesa valdese (attraverso il suo otto per mille e la “Diaconia valdese”) hanno realizzato insieme alla Comunità di Sant’Egidio. Si tratta di un esempio di ecumenismo “non teologico”, ma non per questo meno importante. Proprio alla vigilia del 28 ottobre è giunto all’aeroporto di Fiumicino l’ultimo gruppo dei mille rifugiati siriani – tutti “soggetti vulnerabili” – che sono arrivati in Italia in tutta sicurezza, con voli di linea e con l’accordo dei ministeri competenti (Esteri e Interno), accolti da strutture cattoliche ed evangeliche. Si è trattato del primo progetto del genere in Europa, replicato per ora solo in Francia (attraverso una “cordata ecumenica” analoga a quella italiana), ma che ha suscitato grande interesse in tutto il continente.

Papa Francesco ha citato i Corridoi umanitari durante l’Angelus del 6 marzo 2016, come “segno concreto di impegno per la pace e la vita”, aggiungendo: “Mi rallegro anche perché questa iniziativa è ecumenica, essendo sostenuta dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dalle Chiese valdesi e metodiste”.

La buona notizia è che questo progetto ecumenico, previsto inizialmente per due anni, proseguirà per altri due: il 7 novembre, infatti, è stato firmato al Viminale un nuovo protocollo d’intesa tra i ministeri degli Esteri e dell’Interno da un lato e da FCEI, Tavola valdese e Sant’Egidio dall’altra, per portare in Italia un altro contingente di mille rifugiati. Una goccia in un oceano, certo, viste le dimensioni del fenomeno migratorio: ma un segno concreto che mostra che un’alternativa ai “barconi della morte” e ai trafficanti di esseri umani è possibile. Tre giorni prima delle parole di Papa Francesco, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva dichiarato: “I corridoi umanitari sono un messaggio all’Europa per ricordare che alzare muri non è la soluzione per affrontare la crisi dei migranti”. Parole che il Presidente ha ripetuto nella sostanza ricevendo il 24 ottobre scorso una delegazione della FCEI al Quirinale, in occasione del 500° anniversario della Riforma.