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Alberto Ablondi (1924-2010), pioniere del dialogo

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Paolo VI e Alberto Ablondi
Paolo VI e Alberto Ablondi

ABCDell'Ecumene

Riccardo Burigana per Finestra ecumenica

Nato a Milano, figlio unico, trasferitosi a Sanremo da bambino a causa dei problemi di salute di suo padre, cuoco di prima grandezza, entrato nel seminario della diocesi di Sanremo-Ventimiglia, Alberto Ablondi venne ordinato sacerdote il 31 maggio 1947, iniziando così il suo servizio pastorale a Sanremo, dove rimase fino all’elezione a vescovo ausiliare di Livorno. A Sanremo, prima come vice-parroco e poi come parroco di Santa Maria degli Angeli, don Alberto, come venne presto conosciuto da tutti, si dedicò soprattutto ai giovani, tanto più dopo che era stato nominato assistente della FUCI; negli anni di Sanremo proseguì il suo cammino di formazione intellettuale, per tanti versi atipico per i sacerdoti dell sua generazione, dal momento che, dopo la laurea in Lettere antiche, con una specializzazione in archeologia nel 1947, conseguì una seconda laurea in Giurisprudenza. A questi studi, nel quale confluirono anche letture di teologia contemporanea d’oltralpe e al suo coinvolgimento nella vita quotidiana della comunità locale di Sanremo, dove non mancavano voci e luoghi cristiani non-cattolici, Alberto Ablondi attribuiva la sua riflessione sulla centralità del dialogo nella testimonianza cristiana; questa riflessione lo spinse a iniziare un dialogo con i responsabili delle comunità cristiane non-cattoliche di Sanremo, dopo aver ricevuto, pur con qualche difficoltà, il permesso del suo vescovo, mons. Agostino Rousset, ben prima della celebrazione del Vaticano II.

Questa esperienza, che Ablondi ricordava spesso, con la gioia negli occhi, raccontando la scoperta di cosa già univa i cristiani nella luce della Parola di Dio, doveva segnare profondamente la sua vita, che cambiò radicalmente, il 9 agosto 1966, con la sua elezione a vescovo titolare di Mulli e la nomina a amministratore apostolico della diocesi di Massa Marittima e di vescovo ausiliare di Livorno, dove era chiamato a accompagnare mons. Emilio Guano (1900-1970), gravemente malato, di fatto impossibilitato a seguire la diocesi di Livorno, dove era arrivato nel 1962, a poche settimane dall’apertura del Vaticano II, nel quale mons. Guano era emerso come uno dei protagonisti, in particolare per il suo contributo nella redazione della costituzione Gaudium et spes.

Alla scomparsa di mons. Guano, Ablondi venne chiamato ad assumere la responsabilità della diocesi di Livorno, il 26 settembre, dove rimase fino alla morte, nonostante le tante e ricorrenti voci, che lo volevano destinato ad altre sedi episcopali. Ben presto la sua passione per il dialogo venne riconosciuta nella Conferenza Episcopale Italiana, dove venne chiamato a far parte e a presiedere gli organismi della Conferenza, che, nel corso degli anni, si occuparono direttamente nella promozione del dialogo ecumenico e interreligioso; la sua figura, come i suoi scritti, divennero familiari a tanti, non solo a coloro che erano più direttamente impegnati nel cammino ecumenico, dal momento che il vescovo di Livorno si spendeva per un rinnovamento della Chiesa, guidato dalla lettera e dallo spirito del Vaticano II, radicato nelle Sacre Scritture. Proprio delle Sacre Scritture doveva diventare un «apostolo», contribuendo a un ripensamento radicale delle forme con le quali promuovere la conoscenza della Parola di Dio nella vita quotidiana della Chiesa, che lo condusse alla nomina nel 1984 a presidente della Federazione Universale per l’Apostolato Biblico. In questo ambito si colloca la collaborazione che egli volle attivare, a nome della Conferenza Episcopale Italiana, con la Società Biblica in Italia, della quale divenne vicepresidente. Questa collaborazione portò alla prima traduzione interconfessionale in lingua corrente del Nuovo Testamento (1976) in Italia, consegnata a Paolo VI, in un’udienza, che mostrò, ancora una volta, la profonda sintonia tra papa Montini e il vescovo di Livorno nel comune impegno per la recezione del Vaticano II.

Sarebbe tuttavia riduttivo circoscrivere l’impegno di mons. Ablondi, a livello nazionale, alla promozione del dialogo ecumenico, dal momento che furono molti gli aspetti ai quali offrì il suo contributo, dalla catechesi, alla pastorale familiare, dalla formazione al diaconato, ma è indubbio che a lui, alla sua pazienza e alla sua passione, si devono alcuni tra i più significativi passi della CEI, della quale venne eletto vicepresidente nel 1995, tra i quali ne vanno ricordati almeno due: l’istituzione della Giornata per l’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico, da celebrarsi ogni anno, il 17 gennaio, alla vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e la firma dei due documenti sui matrimoni interconfessionali tra la CEI e la Tavola valdo-metodista, nei quali si formulava una posizione comune sul matrimonio, nella quale confluivano posizioni e sensibilità diverse, definendo i matrimoni interconfessionali, non più un ostacolo al cammino ecumenico, ma una straordinaria opportunità di condivisione delle diversità nell’unità della famiglia. Ablondi, come diceva sorridendo ironicamente, era stato chiamato a fare la stessa esperienza del suo «maestro», mons. Guano, cioè essere affiancato, per la comparsa dei primi segni del morbo di Parkinson, da un vescovo ausiliare, Vincenzo Savio, salesiano, che era stato a lungo parroco a Livorno, uno dei più stretti collaboratori di mons. Ablondi nella celebrazione del Sinodo Diocesano.

Nell’avvicinarsi alla soglia del 75° anno di età, osservando anche lo stato del dialogo ecumenico in Italia, in lui si venne rafforzando l’idea che fosse necessario creare un luogo dove conservare la memoria storica e favorire un dibattito franco sulle questioni ancora aperte in campo ecumenico; Ablondi volle condividere questa idea, che trovò un primo entusiasta sostenitore proprio in mons. Vincenzo Savio, con alcuni «amici» del cammino ecumenico, come mons. Clemente Riva, mons. Pietro Giachetti, mons. Luigi Sartori e la prof.ssa Maria Vingiani. Trasformata l’idea in un progetto per la realizzazione di un centro di documentazione, presentato nel giugno 1999, a un gruppo di vescovi e teologi, il 13 gennaio 2000 venne inaugurato il Centro di Documentazione del Movimento Ecumenico Italiano, del quale mons. Ablondi assunse la presidenza, che gli venne confermata anche da mons. Diego Coletti, suo successore nella sede episcopale di Livorno.

Nel celebrare i suoi 80 anni, il 18 dicembre 2004, in tanti, da tante parti d’Italia, vollero manifestargli affetto, stima, riconoscenza, ascoltando ancora una volta le sue parole di speranza «per andare oltre» nel rifiuto di qualunque «ormai» che toglieva la luce alla testimonianza evangelica. Pur nel progressivo avanzare della malattia, che, in alcuni giorni, limitava fortemente comunicazione e movimento, mons. Ablondi non abbandonò mai la gioia di costruire ponti di dialogo per vivere «la verità nella carità» fino al 21 agosto 2010, quando il suo grande cuore ha cessato di battere.

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