Mosè

Le newsletter di quest’anno ci accompagneranno alla scoperta di alcuni grandi personaggi della Bibbia. Uomini e donne – per lo più giovani o molto giovani nel momento in cui li osserviamo – che hanno osato rispondere, ciascuno a modo suo, a una precisa chiamata, da loro riconosciuta come chiamata alla vita. 

Leggendo la storia di Mosè, Samuele, Rut, Maria di Nazareth e di tanti altri, infatti, si possono riconoscere mille declinazioni diverse dell’unica vocazione alla vita e all’amore.

La prossima assemblea generale del sinodo dei vescovi, nell’ottobre 2018, avrà per tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Anche in vista di questo appuntamento, l’intento che ci proponiamo è che ciascuno sia aiutato a sentirsi già oggi parte del popolo di Dio, in continuità con quanti lo hanno preceduto nel cammino della vita e della storia, e non come un generico e retorico “futuro della chiesa”, costantemente posticipato.

Cominciamo allora il nostro itinerario biblico con Mosè. 

Anche se non possiamo chiedere un resoconto storico documentato alla narrazione che il libro dell’Esodo fa della vita di Mosè, non abbiamo motivi per non prendere sul serio le vicende legate alla sua figura.

Mosè nasce da genitori ebrei in Egitto. A tre mesi sua madre, per salvarlo da un decreto che voleva fossero uccisi tutti i neonati maschi degli ebrei, lo pone in un cesto di papiro e lo abbandona fra i giunchi, sulla riva del Nilo; trovato dalla figlia del Faraone, che ne ha compassione, viene cresciuto da lei come un figlio, con i privilegi legati a questo nuovo status. Giovane prestante, Mosè però non dimentica l’appartenenza al suo popolo e, vedendolo oppresso e obbligato ai lavori forzati, cerca di farsi giustizia da solo: un giorno assiste a un litigio tra un ebreo e un egiziano e – preso da ira e sdegno e pensando di non essere visto – uccide l’egiziano.

L’indomani, però, quando di nuovo si intromette in una lite, stavolta tra due ebrei, uno di questi gli dice: “Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere, come hai ucciso l’egiziano?” (Es 2,14).

Mosè allora si sente scoperto, capisce che il suo omicidio è risaputo, teme la reazione del Faraone e scappa in un’altra regione, nel territorio di Madian, dove finisce per sposare la figlia di un sacerdote. Un giorno Mosè si spinge a pascolare il gregge del suocero fino al monte Horeb. Lì il Signore lo chiama, manifestandosi come una fiamma ardente in mezzo a un roveto.

Nel dialogo, Dio gli si rivela come “Io sono”, il Dio dei padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e gli chiede di andare dal Faraone per far uscire il popolo d’Israele dall’Egitto. Così Dio gli affida quella missione di “capo e giudice” degli ebrei che Mosè si era precipitosamente assegnato da solo. Dopo varie resistenze e obiezioni, Mosè cede all’insistenza autorevole di Dio e affronta un compito che gli richiederà tutte le energie e che, al contempo, corrisponderà in profondità al suo anelito autentico di libertà, di giustizia, di vita piena. 

È l’inizio della storia adulta di Mosè, l’inizio di una storia che si articolerà nella relazione con Dio, con i fratelli del suo popolo, con il Faraone e gli egiziani. Una storia che, come tutte le nostre storie, conosce un duplice rischio: quello di pensare che il compito che ci attende vada affrontato da soli e perciò sia più grande di noi e quello, speculare, di credere di poter fare a meno degli altri, finendo così per scontrarci con la nostra arroganza sterile.

La vicenda di Mosè, invece, prende avvio da un sì, da un gesto di fiducia che libera la verità più profonda che ci abita. Ricevere come missione il dovere di compiere ciò cui il nostro cuore anelava e, in questo modo, scoprire le risorse che abbiamo in noi e accanto a noi: questa la grande lezione di libertà interiore che il giovane Mosè ci trasmette.