La morte di Gesù come smascheramento della violenza

Deposizione dalla croce, Fra Angelico (1437-40)
Deposizione dalla croce, Fra Angelico (1437-40)

La non violenza di Gesù si radica sulla sua esperienza di fiducia e di abbandono al Dio dell’alleanza, suo Padre e padre di tutti gli uomini. Gesù non crede che tutto ciò che accade è riconducibile agli dèi ma che il male è voluto dall’uomo che con la sua libertà ha il potere di negarsi a Dio e negandosi a Dio al bene e al fratello; non pensa che il male colpisce il corpo ma non l’anima perché sa che sia il corpo che l’anima sono dono inseparabile dello stesso amore creatore; non condivide l’idea che la vera patria è altrove per cui morire è bene per raggiungerla, ma che la terra è patria, la prima patria, perché dono dell’amore del Padre. Ma allora perché accetta la morte ingiusta e violenta, perché non si ribella al destino crudele, perché invoca il perdono sugli uccisori, perché non grida la propria innocenza, perché non reagisce con determinazione alla violenza, perché risponde con la nonviolenza alla violenza? Gesù ha risposto alla violenza con la non violenza perché il Padre glielo ha chiesto e non perché impietoso o adirato ma perché innamorato della creatura violenta di cui ne ha preso a cuore la sorte nonostante la violenza. Gesù si è posto di fronte alla sua morte ingiusta e violenta non negandola, con la rimozione, l’estetizzazione o il ricorso alla filosofia, ma riconoscendola e attraversandola, e così liberando l’uomo dalla paura della morte, alla radice di ogni ingiustizia e violenza, e riconsegnandolo alla verità di figlio e di fratello. La ragione per cui Gesù ha assunto la morte tragica, trascrizione della tragicità della morte e di ogni morte in un mondo dove l’uomo non ha più la coscienza di essere creatura, figlio e fratello, non è per sottrarsi al mondo ma per riaprire nel mondo la dimensione della creazione e della bontà che la coltre dell’ingiustizia e della violenza occulta. Alla radice della convinzione quasi universale del mondo come luogo ostile e inospitale non c’è forse infatti l’esperienza innegabile della sofferenza e deal violenza che sono superabili solo postulando un mondo altro da questo mondo? Assumendo su di sé la violenza che lo uccideva e assorbendola come la spugna e deviandola come il parafulmine, Gesù ha sottratto al male (sofferenza e violenza) la sua inesorabilità e incontestabilità e ha riaperto nel mondo la possibilità di abitarlo come mondo buono, secondo il disegno creatore. Gesù con la morte ha raggiunto l’aldilà ma non l’aldilà opposto a questo mondo dove l’io, libero dalla pesantezza del corpo, avrebbe contemplato finalmente il vero e il bello, bensì l’aldilà dell’amore del Padre che ha creato il mondo e lo ricrea quotidianamente donandolo e ridonandolo all’uomo per amore. Morendo Gesù ha riaperto questo aldilà, dissotterrando la bontà del mondo, la creazione, sotto la crosta dell’ingiustizia e della violenza che, imperforata, si voleva imperforabile e, per questo, pensata come dato fatale o naturale e legge stessa dell’esperienza. Rispondendo alla violenza con al non violenza Gesù ha decostruito la legge della violenza e riaperto nella storia come possibilità la legge della fraternità (C. di Sante, La passione di Gesù, Città Aperta, Troina 2007, pp. 266-268).