Uno spazio nuovo

Andrea Mastrovito
Andrea Mastrovito

3 marzo 2024

Giovanni 2,13-25
III Domenica di Quaresima
di Sabino Chialà

13Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
23Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.


Dopo le due domeniche iniziali – la tentazione nel deserto e la trasfigurazione sul monte – comuni alle tre annate del lezionario, la liturgia dell’anno “B” ci invita a proseguire il cammino quaresimale mettendoci in ascolto di tre pagine tratte dal quarto Vangelo, in ciascuna delle quali ci è consegnata un’immagine che ci aiuta a entrare nel mistero della Pasqua. Immagini da ascoltare, in obbedienza alla voce udita scendere dalla nube, nel racconto della trasfigurazione: “Questi è il figlio mio, l’amato, ascoltatelo” (Mc 9,7).

La prima immagine è quella del tempio, edificio e corpo: due realtà che passano da una situazione di morte a una di vita. Edificio che Gesù purifica, corpo che risuscita. L’episodio della purificazione del tempio di Gerusalemme, con cui si apre la nostra pericope, è narrato da tutti e quattro i vangeli, sebbene con una differenza sostanziale: i Sinottici lo collocano alla fine dell’itinerario di Gesù, alla soglia della settimana di passione, Giovanni invece all’inizio, subito dopo il segno di Cana (Gv 2,1-12). Peraltro secondo il quarto vangelo, questa è solo la prima delle Pasque che Gesù trascorrerà a Gerusalemme, mentre i Sinottici parlano di un’unica Pasqua.

Il brano si articola in due parti, segnate dal passaggio da un livello “concreto” a uno “figurato”, secondo un modo di procedere tipicamente giovanneo. Nella prima parte (vv. 13-17) Gesù compie un gesto, energico e anche violento, accompagnato da una parola: “Non fate della casa di mio Padre un mercato” (v. 16). Nella seconda parte (vv. 18-22), in un dialogo tra Gesù e i capi, il discorso si sposta dal tempio-edificio al tempio-corpo di Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (v. 19).

Lo spettacolo del tempio ridotto a mercato indigna Gesù, che vi osserva un groviglio di gente, animali e denaro. Eppure in tutto quello non vi era nulla di anomalo: quegli animali erano necessari per il culto, come anche il commercio, a favore di chi non poteva portare con sé da lontano le vittime necessarie ai sacrifici. Un commercio dunque inevitabile, che immancabilmente si rigenera intorno a ogni espressione del sacro. Quasi che il sacro generi naturalmente commercio!

Quella attività occupa lo spazio del tempio, che nella prima parte del brano è detto ierón (vv. 14 e 15), termine generico che indica il complesso nel suo insieme. Gesù si scaglia contro questa area sacra e tutto il suo commercio, con un’azione che ha certamente un significato e una finalità immediati: fare piazza pulita. Ma quel gesto ha anche un valore simbolico, che giustifica la reazione dei capi: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?” (v. 18). Intuiscono che Gesù in quel modo sta presentando le sue credenziali, e chiedono un segno che legittimi ciò che pretende di essere, cioè il Messia che adempie le parole degli ultimi due profeti: Malachia e di Zaccaria. Il primo infatti aveva annunciato che il Messia sarebbe entrato nel suo tempio e vi avrebbe compiuto un’azione di giudizio: “Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia” (Ml 3,3). E il secondo dice: “In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore dell’universo” (Zac 14,21).

In quel gesto di purificazione vi è dunque un chiaro messaggio: il Messia viene per ristabilire il posto di Dio in mezzo al suo popolo, che egli stesso aveva disposto e che gli uomini avevano pervertito, riempiendolo di altro e vanificandolo. Abbiamo qui solo uno dei tanti esempi in cui la religiosità si sostituisce alla fede. Dio offre al popolo la sua parola per potersi intrattenere con lui, l’essere umano ne fa un sistema che lo allontana. Dio aveva stabilito il tempio come luogo della sua presenza, in cui dimorare e incontrare i suoi figli; l’essere umano ne fa un mercato. Con la sua azione profetica, Gesù viene a ripulire quel luogo, a ridare il giusto senso a quello spazio. Lo afferma chiaramente rivolgendosi ai venditori di colombe: “Non fate della casa del Padre mio un mercato” (v. 16). Per Gesù il tempio è il luogo della presenza del Padre, dove poterlo incontrare.

Ma nella seconda parte del racconto (vv. 18-22) il discorso evolve verso un altro piano. Si parla sempre di tempio, ora però si tratta del corpo di Gesù, designato non più con il termine ierón, bensì con naós (vv. 19.20.21), che indica la parte più interna del complesso templare. Il passaggio dall’edificio al corpo suggerisce un’identificazione ricca di significato: ciò che gli uomini hanno svuotato di senso, rendendolo un mercato, Dio lo ricostruisce in modo nuovo e non più vanificabile: il corpo stesso di Gesù, che è il luogo d’incontro tra Dio e l’umanità. Con una novità importante: questo tempio, anche se sarà distrutto, risorgerà (v. 21). Si inaugura così una nuova religiosità, non più legata a manufatti, ma all’unico tempio che ormai merita questo nome: il corpo stesso del Messia.

Gesù invita così a entrare in uno spazio nuovo. Lui stesso è il nuovo tempio, in cui Dio dà appuntamento all’essere umano. Nella nuova economia non c’è un altro luogo sacro, come Gesù stesso chiarirà nel dialogo con la donna Samaritana: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre … Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,21-24).

Ecco dunque una prima immagine del Figlio, che il Padre sul Tabor ha chiesto di ascoltare: il Messia Gesù è lui stesso il luogo d’incontro con il Padre. Tuttavia, non sarà facile restare fedeli neppure a questo nuovo tempio, come suggeriscono gli ultimi versetti del nostro brano: “Molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti … Egli infatti conosceva quello che c’è nel cuore dell’uomo” (vv. 23-25). Come a dire: non basta cambiare economia salvifica per cambiare il cuore dell’uomo. La tentazione dello sfiguramento resta per tutti, anche per i cristiani. Anche il nuovo tempio può essere ridotto a mercato, e la storia ce ne offre prove abbondanti.

Ma la promessa di Gesù, che sarà lui stesso a far risorgere il tempio del suo corpo, possiamo accoglierla anche come assicurazione che le rovine causate dalle nostre contraffazioni saranno restaurate. Questa parola ci raggiunge dunque come parola di giudizio e di consolazione. Giudizio che chiede vigilanza e discernimento; consolazione, suscitata dalla promessa della fedeltà di Dio, di cui la Pasqua è compimento.


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