L'affollata solitudine del pellegrino


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© 2009 Edizioni Qiqajon - Monastero di Bose
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Avvenire, 28 agosto 2009
di FULVIO PANZERI
Uomo, vuoi cercare di riconoscere tra la folla gli amici di Dio? Guarda unicamente quelli che portano l'amore nel cuore e nelle mani

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Avvenire, 28 agosto 2009
di FULVIO PANZERI

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JACQUES NIEUVIARTS
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«Uomo, vuoi cercare di riconoscere tra la folla gli amici di Dio? Guarda unicamente quelli che portano l'amore nel cuore e nelle mani». Sono parole del grande mistico Angelo Silesio, ma che riescono a definire con estrema chiarezza, ancora oggi, il senso dell'essere pellegrini. Lo afferma Jacques Nieuviarts, un religioso assunzionista, che unisce le sue competenze di biblista e di professore di esegesi ad un'autentica passione per il pellegrinaggio, in {link_prodotto:id=869} (edizioni Qiqajon, pagine 128, euro 10,00), che arriva in questi giorni in libreria ed è un saggio notevole sulla valenza del camminare anche nella vita quotidiana. E in questo rilegge i testi biblici proprio per definire la vocazione al pellegrinaggio che è fondamento della cultura cristiana. Sottolinea infatti che «la Bibbia è interamente fatta di cammino, di tanti cammini; sentieri a cielo aperto di pastori e di nomadi, viaggi di carovane che attraversano il deserto». Poi c'è il cammino di Mosè e ancora gli spostamenti del profeta Elia e infine c'è «la strada percorsa dall'antenato di tutti costoro, Abramo, divenuto nomade su una parola di Dio, verso il paese della promessa». Il suo «cammino» diventa l'archetipo di tutto quello che sarebbe avvenuto dopo. Nel suo «andare» Nieuviarts vede «la prefigurazione di tutti i cammini futuri, soavemente e allo stesso tempo e allo stesso tempo attratti vivamente da Dio.

Queste riflessioni tracciano un ritratto del pellegrino, del significato profondo della sua missione, che quella dell'ascesa stessa verso Dio. «Essere pellegrini - scrive il nostro autore - equivale a segnare una pausa nel ritmo folle dei giorni, in quello della noia e della solitudine e anche in quello delle preoccupazioni e dei deserti interiori, in attesa di una risposta dal cielo e nella convinzione che essa può giungere, o per lo meno conservandone tenacemente la speranza».

È la preghiera a sostenere il pellegrino, una preghiera anche silenziosa che però s'irradia nel mondo, sembra costruire questa grande visione di speranza che si avverte in un passo di Nieuviarts: «Le pietre del selciato, il tremolio della luce del sole, il silenzio delle stelle, sono in ascolto di tutte queste preghiere dei cercatori di Dio dalle molteplici vie, che si insinuano nella notte, o lungo i giorni, e diventano intercessori... mentre per sì cercano l'Unico, il silenzio, la pace interiore».

L'autore accenna anche ad Erri De Luca e la sue riflessioni un po' ricordano gli scritti etici del nostro scrittore, soprattutto in questo suo spostarsi continuamente, tra considerazioni e spunti teologici, tra «i nomadi e i transumanti di Dio».

Con una conclusione che non può, ovviamente esserci, perché si arriverebbe ad una palese contraddizione con il passo del pellegrino che risuona lontano in queste pagine. Si chiude allora con un invito: «Partite! Si è sempre solitari quando si parte. Solitari, eppure non sempre soli. Perché spesso o forse sempre, si parte su una parola. Quella interiore che esprime il canto o l'anelito dell'essere umano, il suo appello all'Altro, e che mormora, nel tempo benedetto, il canto di Dio».

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