Visita di papa Francesco in Armenia

Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni e Papa Francesco
Karekin II, Catholicos di tutti gli Armeni e Papa Francesco

Nei giorni 24-26 giugno il vescovo di Roma, papa Francesco, ha visitato il popolo e la chiesa armena, accogliendo l’invito rivoltogli dal patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, Karekin II, e dal presidente della repubblica armena. Si tratta di un primo viaggio nel Caucaso dove papa Francesco ritornerà presto, nel prossimo mese di settembre, per visitare la Georgia e l’Azerbaijan.

I legami della chiesa cattolica romana con quella armena si sono andati intensificando negli ultimi decenni, anche grazie alle visite fraterne dei capi delle rispettive chiese, avviati da papa Paolo VI e il catholicos Vasken I.

Proseguiti con Giovanni Paolo II dapprima con Karekin I e poi con il successore e attuale catholicos Karekin II questi scambi fraterni hanno arricchito la conoscenza e la comprensione reciproca tra le due chiese. pdfCOMUNICATO STAMPA

Ma nell’ultimo anno tale riavvicinamento ha conosciuto un’accelerazione significativa, di cui questo viaggio è anche frutto, in occasione della proclamazione a dottore della chiesa, da parte di papa Francesco, di un’eminente figura della tradizione armena, Gregorio di Narek, avvenuta il 12 aprile 2015. In occasione di tale proclamazione convennero a Roma il patriarca supremo e catholicos di tutti gli armeni, Karekin II, il catholicos della grande casa di Cilicia, Aram I, insieme al patriarca di Cilicia degli Armeni, Nerses Bedros XIX, capo della chiesa armeno-cattolica, e al presidente della repubblica armena.

Per la chiesa cattolica fu l’occasione di fare memoria del centenario del genocidio del popolo armeno, ma in un modo particolare: riconoscendo cioè l’alto valore di quella tradizione cristiana, in una delle sue maggiori figure. Un riconoscimento che può considerarsi unico per sua la portata ecumenica, in quanto Gregorio di Narek visse in un’epoca (X secolo) in cui la comunione tra le due chiese era ormai interrotta da secoli (dal concilio di Calcedonia, del 451). Con quell’atto, dunque, la chiesa cattolica ha riconosciuto ufficialmente il magistero e la santità fiorita in una chiesa altra, con cui non condivide la medesima tradizione conciliare. Una via ecumenica nuova e che crediamo potrà essere foriera di frutti significativi.

Questo il contesto in cui s’inscrive la visita appena terminata, durante la quale il vescovo di Roma è stato accolto con grande fraternità dal popolo e dalla gerarchia armena apostolica (ortodossa) e armena cattolica, in un clima davvero nuovo, fatto di preghiere condivise, di discorsi sinceri e cordiali e di convivialità.

Il vescovo di Roma è arrivato all’aeroporto Zvarnost di Yerevan nelle prime ore del pomeriggio del giorno 24, dove è stato accolto dalle massime autorità politiche e religiose, il presidente della repubblica armena e il catholicos supremo di tutti gli armeni, Karekin II. Di qui ha raggiunto, come prima tappa della visita, la sede storica della Chiesa armena, la cattedrale di Etchmiadzin, dove le parole di benvenuto sono state espresse nel contesto orante di una preghiera ecumenica, cui papa Francesco ha fatto eco rivolgendosi al catholicos Karekin II come al “venerato fratello” e insistendo sullo spirito di fraternità di cui tale visita voleva essere espressione.

Il vescovo di Roma ha anche ricordato fin da subito i due grandi segni di cui il popolo armeno è stato e resta latore per l’intero mondo cristiano, che hanno costituito le note dominanti di tutti i discorsi susseguitisi nei tre giorni di visita: l’antichità della fede di questo popolo, considerato il primo ad aver accolto l’annuncio evangelico; e la testimonianza del martirio resa lungo i secoli e in particolare durante quello che papa Francesco non ha esitato a definire ancora una volta “genocidio”, consumatosi appena un secolo fa.

Questa prima preghiera ecumenica, vissuta laddove la tradizione armena ricorda la “discesa dell’Unigenito” (Etchmiadzin), ha fin da subito assunto anche i toni profetici del desiderio della piena unità, cui né il papa né il catholicos hanno dato ad intendere di aver rinunciato. Anzi, è stata ancora una volta richiamata l’importanza di valorizzare “quanto unisce”, grazie ad una genuina riscoperta di quell’amore di Cristo nel quale “si accrescono la conoscenza e la stima reciproche, si creano migliori condizioni per un cammino ecumenico fruttuoso e, nello stesso tempo, si mostra ad ogni persona di buona volontà e all’intera società una concreta via percorribile per armonizzare i conflitti che lacerano la vita civile e scavano divisioni difficili da sanare” .

La memoria del “Metz yeghern” (grande male), definito “tragedia” e “genocidio”, è stato invece al centro dell’incontro con le autorità civili e il corpo diplomatico, svoltosi subito dopo al palazzo presidenziale. Una catastrofe che, come altre che hanno insanguinato il XX secolo, è stata perpetrata, ha detto papa Francesco, mentre “le grandi potenze guardavano da un’altra parte”, ribadendo l’importanza che “tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio”.

Il ricordo del “grande male” ha aperto la giornata successiva (25 giugno), con la visita al memoriale del genocidio (Tzitzernakaberd), dove i discorsi hanno lasciato il posto al silenzio e ai gesti. La giornata è quindi proseguita a Gyumri, capoluogo della provincia di Shirak, nel nord-ovest del paese, regione con un’importante presenza cattolica, con la quale il papa ha celebrato un’eucaristia cui la presenza del catholicos Karekin II ha dato, ancora una volta, un alto significato ecumenico. Nell’omelia, facendo riferimento al terremoto che ha colpito la regione nel 1988, il papa ha indicato tre basi su cui ricostruire la vita cristiana: la memoria dei benefici del Signore, pur tra le tragedie che avviliscono il volto dell’umanità; la fede viva, nutrita dall’incontro quotidiano con la parola di Dio; e l’amore misericordioso, ricevuto e donato. La visita si è conclusa con una breve sosta nelle due cattedrali della città: armeno-apostolica e armeno-cattolica.

Di ritorno a Yerevan, nella preghiera ecumenica in piazza della Repubblica, il papa è tornato a ribadire la centralità del cammino ecumenico, per il quale – ha detto - “guardiamo davvero con fiducia al giorno in cui, con l’aiuto di Dio, saremo uniti presso l’altare del sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica”, mettendo tuttavia in guardia da una lettura strategica e contrappositiva di tale ricerca: “L’unità non è un vantaggio strategico da ricercare per mutuo interesse, ma quello che Gesù ci chiede”.

La giornata conclusiva del viaggio si è aperta ancora a Etchmiadzin, con l’incontro di papa Francesco con tutti i vescovi cattolici avvenuto – fatto anche questo ecumenicamente significativo – nel palazzo apostolico. Hanno fatto seguito la partecipazione alla divina liturgia celebrata dal catholicos Karekin II, all’interno della quale il papa ha pronunciato il suo ultimo discorso, e un importante momento di convivialità con il pranzo che ha visto uniti tutti i vescovi ortodossi e cattolici presenti. Al termine è stata firmata la Dichiarazione congiunta, in cui sono rievocati i temi salienti ricorsi nelle varie prese di parola da parte del papa e del catholicos, con un significativo sguardo al presente: la situazione dei cristiani in Medio oriente e la questione del Nagorno-Karabakh. Vi si ribadisce anche che “i martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un ‘ecumenismo del sangue’ che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo”

Il monte Ararat, visto dal monastero di Khor Virap, luogo tra i più cari alla memoria del popolo armeno in quanto legato a san Gregorio Illuminatore, ha fatto da sfondo all’ultimo incontro di questo viaggio. Un’immagine dal sapore biblico: il papa e il catholicos che liberano verso il cielo due colombe bianche. Un messaggio di speranza carico di tante attese, di pace e di comunione. Un gesto che si fa anche rendimento di grazie, perché, pur tra molte contraddizioni e smentite, il dono della fraternità appare ancora una volta possibile, come questi tre giorni intensi hanno saputo mostrare.


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