Le chiese cristiane in Siria

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Un mosaico tra i più complessi e affiatati quello delle chiese cristiane in Siria, una terra dove l’ecumenismo ha una storia antica quasi quanto la divisione. Proprio qui, infatti, intorno alla città di Antiochia (di Siria, appunto, anche se oggi si trova nel sud della Turchia) dove i discepoli di Gesù il Messia furono chiamati per la prima volta “cristiani” (cf. At 11,26), sono emersi i germi di una diversità che ha da sempre faticato a essere mantenuta in unità. Proprio questa chiesa, l’antico e ancora vivacissimo patriarcato di Antiochia, ha conosciuto divisioni quasi a ogni concilio ecumenico, e prima ancora, in epoca apostolica: qui innanzitutto si sono confrontate le due anime del cristianesimo primitivo, credenti provenienti dal giudaismo e dal paganesimo; qui i concili ecumenici dei secoli V-VII hanno evidenziato, con divisioni ancora non sanate, le differenti interpretazioni del mistero cristiano; qui ancora, durante il secondo millennio, hanno visto la luce varie chiese orientali unite a Roma (dette “uniate”) e chiese legate alla Riforma protestante.

Ma quella antiochena è anche una chiesa che ha da sempre avvertito come particolarmente dolorosa la divisione tra cristiani e ha tentato di reagire, innanzitutto custodendo una fraternità che, benché ferita, non è stata mai del tutto rinnegata e cancellata. A questa chiesa appartengono figure “ecumeniche” ante litteram quali: lo scrittore arabo-cristiano, di probabile origine aleppina, Ali ibn Dawud al-Arfadi (XI secolo), pdfcui si deve uno dei primi trattati in cui si mostra come le varie espressioni teologiche che avevano diviso le chiese nel V secolo in realtà esprimono con termini diversi una medesima fede; il patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Pietro (XI secolo), unica voce levatasi a difesa della concordia tra Roma e Costantinopoli al momento del grande scisma tra Oriente e Occidente (1054); o ancora il vescovo siro-ortodosso di Aleppo, Jamal al-Din Abu l-Faraj Grigorios bar ‛Ebroyo, noto anche come Barhebraeus (XIII secolo), una delle personalità più colte e più ecumeniche che le chiese abbiano mai annoverato. Una tradizione questa perdurata nei secoli, come testimonia quell’ecumenismo dell’amicizia che in Siria è attestato dagli ottimi rapporti tra patriarchi e fedeli delle varie chiese. Un frutto ne è la costruzione nel 2004 a Dummar, un sobborgo di Damasco, di una chiesa utilizzata insieme, alternativamente, da greco-ortodossi e greco-cattolici; e segno “ecumenico”, tragico ma non meno significativo, è anche il rapimento, insieme, di due dei vescovi di Aleppo: il siro-ortodosso Grigorios Youhanna Ibrahim e il greco-ortodosso Bulos Yaziji (fratello dell'attuale patriarca greco-ortodosso); rapiti insieme come insieme guidavano le rispettive comunità, della cui sorte non si hanno ancora notizie certe. Chiese ancora divise ma non del tutto, anche nella sofferenza causata da questa guerra fratricida.

Un mosaico, dunque, vario, complesso e ricco. Basti pensare che a tutt’oggi ben cinque patriarchi portano il titolo di Antiochia, tre dei quali con sede in Siria, a Damasco. Non è dunque esagerato dire che nel territorio geografico dell’attuale Repubblica araba di Siria sono presenti comunità appartenenti a quasi tutte le chiese cristiane, e certamente a tutte le famiglie di chiese.

La più antica divisione tra cristiani di cui restano ancora le tracce è fatta risalire idealmente al terzo concilio ecumenico, il concilio di Efeso (431), che non fu mai accolto dalle chiese dell’allora impero persiano di cui sono discendenti i fedeli riuniti in due giurisdizioni autonome, la Chiesa assira d’oriente e l’Antica chiesa d’oriente (i due rispettivi patriarchi-catholicoi, Gewargis III Sliwa e Addai II Giwargis, risiedono in Iraq) e la Chiesa caldea, parte della medesima tradizione ma dal 1550 costituitasi come chiesa autonoma, in comunione con Roma (patriarca: Louis Raphaël I Sako, che risiede in Iraq). Nell’attuale Siria era presente, fino alla guerra e probabilmente ancora oggi, una piccola presenza di cristiani assiri soprattutto nella parte orientale, e consistenti comunità caldee in varie regioni del paese, soprattutto ad Aleppo e Damasco.

Il quarto concilio ecumenico, celebratosi a Calcedonia nel 451, segna l’altra grande divisione che ha lacerato la cristianità e in particolare il patriarcato di Antiochia, dando origine alle due grandi famiglie ecclesiastiche d’oriente: le chiese ortodosse, che hanno accettato il concilio di Calcedonia, e le chiese ortodosse orientali, che lo hanno rifiutato. Al primo gruppo appartiene la Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, più precisamente “rum-ortodossa” (vale a dire “romana”, cioè bizantina), in comunione con le altre chiese ortodosse di tradizione bizantina; è completamente arabizzata e celebra la propria liturgia secondo il rito bizantino e in lingua araba (l’attuale patriarca, Youhanna X Yaziji, risiede a Damasco). Parte di questa chiesa, durante la prima metà del XVIII secolo, si unì alla chiesa di Roma, costituendo così quella che oggi si chiama Chiesa greco-cattolica melchita, vale a dire una chiesa cattolica di rito orientale (l’attuale patriarca, Grigorios III Laham, risiede anch’esso a Damasco, a poca distanza dal suo omologo ortodosso, nell’antico quartiere di Bab Tuma). A queste due chiese appartiene la maggior parte dei cristiani dell’attuale Siria.

Al secondo gruppo, vale a dire alle chiese che non accolsero le definizioni cristologiche di Calcedonia, appartengono altre quattro comunità cristiane presenti attualmente in Siria. La prime due sono espressione dell’antica Chiesa siro-occidentale, di lingua siriaca, una variante dell’aramaico antico: la Chiesa siro-ortodossa (attuale patriarca: Ignatius Aphrem II Karim, che risiede a Damasco, nel quartiere di Bab Tuma, o a Marrat Saydnaya, un piccolo villaggio a non molta distanza dalla capitale siriana) e la Chiesa siro-cattolica, nata dall’unificazione di parte della prima con la chiesa di Roma intorno alla metà del XVII secolo (attuale patriarca: Ignatius Joseph III Younan, che risiede a Beirut in Libano). Le altre due sono espressione della tradizione armena, di cui utilizzano la lingua e la liturgia: la Chiesa armena del catholicossato della grande casa di Cilicia (il cui catholicos, Aram I Keshishian, risiede in Libano ad Antelias), una giurisdizione indipendente ma in comunione con la Chiesa armena di Etchmiadzin (Armenia), e la Chiesa armeno-cattolica, anch’essa nata dall’unificazione di una parte della chiesa armena ortodossa con quella di Roma, intorno alla metà del XVIII secolo (attuale patriarca: Krikor Bedros XX Ghabroyan, che risiede a Bzommar, in Libano). Le comunità armene di Siria sono antiche, tuttavia si sono infoltite per l’arrivo dei profughi del genocidio del 1915.

Importante in Siria è anche la presenza della Chiesa maronita, di tradizione antiochena, siro-occidentale per la teologia e per il rito. Dalle origini ancora oggi oggetto di discussione, è interamente unita alla chiesa di Roma (attuale patriarca: Bechara Butros Raï, che risiede in Libano a Bkerke). Infine, per completare il quadro, vanno ancora menzionate le comunità cattoliche di rito latino, che in Siria risalgono all’epoca crociata e alla diffusione in oriente dell’Ordine dei frati minori, e diverse comunità di tradizione Riformata, frutto della predicazione di missionari europei e americani.

Di questa ricchezza e diversità, la città di Aleppo, che oggi vediamo così barbaramente violata, è stata per secoli un esempio particolarmente riuscito di diversità sinfonica, dove erano presenti rappresentanze di tutte le comunità cristiane presenti in Siria. Luogo in cui l’ecumenismo era dettato dalla vita di cristiani che nel quotidiano di matrimoni misti e amicizie avevano mantenuto viva la memoria di una fraternità che nessuna divisione aveva del tutto cancellato. Un’eredità, questa, da custodire e da cui imparare, perché la devastazione attuale non uccida, oltre a uomini, donne e monumenti, anche la memoria di quel prezioso tessuto di convivenza e di comunione.

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