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Unità nella diversità. Un’esperienza ecumenica africana

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Kate Davson* per Finestra ecumenica
*Presidente internazionale emerito dell’IEF - Ambasciatrice emerita per l’Africa

L’International Ecumenical Fellowship è un’organizzazione di base fondata, come molte altre organizzazioni ecumeniche, più di cinquant’anni fa nel clima euforico del concilio Vaticano II, con il motto “Vivi oggi la chiesa di domani”. È difficile dispiegare la sua enigmatica missione nello spazio di un breve articolo ma, in poche parole, si tratta dell’esperienza vissuta da cristiani di diverse nazionalità e appartenenze ecclesiali che, attraverso l’incontro nella preghiera, nella liturgia, nello studio e nella comunione fraterna hanno ricevuto la rivelazione di “essere una sola cosa”. Inizialmente i membri provenivano da cinque paesi dell’Europa occidentale (Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna), ma dopo il crollo del comunismo abbiamo beneficiato di un numero crescente di membri provenienti dall’Europa orientale, e così si sono formate nuove regioni di appartenenza: Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia. I nostri incontri si tengono nella forma di convegni internazionali organizzati ogni volta in un diverso paese membro.

Ho personalmente avuto il grande onore di ricoprire la carica di presidente della regione britannica e, in seguito, quella di presidente internazionale. Alla fine degli anni 1990 abbiamo avuto il nostro primo incontro con l’Africa, attraverso un prete anglicano ugandese, specializzato nel settore educativo e dottorando all’Università di Leeds. Il reverendo Fred Sheldon Mwesigwa divenne in seguito decano della Facoltà di educazione all’Università cristiana di Mukono, a Kampala, e successivamente vescovo di Ankole, nell’Uganda occidentale. Nel 2002 abbiamo ricevuto il dono della presenza tra noi di quel gigante, fisicamente e spiritualmente, che è p. Martin Onyango, un padre bianco (missionario d’Africa) keniano, verso cui ho un enorme debito di gratitudine per il ruolo che ha avuto nel mio cammino spirituale. Nel 2005, appena dopo la morte di mio marito, mi invitò a fargli visita in Tanzania, nella parrocchia in cui esercitava il suo ministero. Fu qui che feci esperienza del mio primo convegno ecumenico africano, tenuto all’aria aperta nel clima mite della Tanzania a fine ottobre. I membri della sessione erano il vescovo anglicano di Southern Highlands, il reverendo John Mwela, un teologo luterano delegato dal vescovo di Tukyu, un professore dell’Università morava, p. Martin Onyango ed io. Gli altri partecipanti erano per lo più catechisti e operatori pastorali di tutte le chiese rappresentate. Dopo che ognuno ebbe presentato la propria visione dell’unità tra i cristiani, ci fu spazio per le domande: questa fu per me la mia prima esperienza di esposizione ai problemi che si presentano in Africa. Quasi tutte le domande furono indirizzate a me e toccavano le questioni più spinose, particolarmente quelle legate ai problemi della chiesa anglicana: i preti donna, i vescovi donna e, soprattutto, la sessualità. A proposito di quest’ultimo tema tentai di girare le domande al vescovo, essendo lui la persona più autorevole per rispondere; ma ebbi come risposta: “No, signora Kate, desideriamo avere la sua opinione personale”. A quel punto scoccai frecce verso il cielo per implorare aiuto, e ottenni un’immediata risposta attraverso la parabola della donna colta in adulterio (cf. Gv 8,1-11): “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Questo mi tolse dai guai, grazie a Dio.

Durante quella visita feci un altro importante incontro istruttivo, quello con le “piccole comunità cristiane” (Small Christian Communities), una modalità propria del cattolicesimo diffuso nelle aree rurali. In un villaggio rurale, con le sue chiese piene di fedeli, fui portata per il pranzo in una casa molto semplice, dove fui accolta con la consueta ospitalità africana; in quel luogo ogni domenica pomeriggio si ritrovavano con i vicini per pregare, studiare, e condividere i problemi comunitari quali la malattia, la povertà, eccetera. Appartenevano tutti alla stessa chiesa, ma ciò mi convinse con forza che quello era il contesto ideale per introdurvi un elemento “ecumenico”: “Al posto di invitare soltanto i vicini che appartengono alla vostra stessa chiesa”, dissi loro, “a questa vostra ricca comunione invitate i vicini che appartengono ad altre tradizioni”. Non so se questo fu mai tentato.

Il Malawi fu il mio terzo incontro, in cui fui in compagnia dei padri bianchi a Lilongwe, luogo in cui p. Martin era il responsabile della pre-selezione dei candidati al noviziato dei missionari d’Africa. Era richiesto che questi ragazzi, per la maggior parte provenienti dalle campagne, avessero ricevuto un minimo di educazione, e le loro famiglie venivano visitate per discernere se i ragazzi erano in buona fede dei candidati alla vocazione religiosa oppure se per le loro famiglie questo era soltanto un buon mezzo per avere un’ottima educazione. In quella sede la nostra conversazione fu una meravigliosa discussione incentrata sul significato del celibato: come mai i preti anglicani potevano sposarsi e avere una famiglia? P. Martin confessò apertamente che nel suo caso, sebbene avesse voluto sinceramente sposarsi, la sua decisione ultima lo portò a considerare che non avrebbe potuto servire il suo Signore e Maestro parzialmente, avendo una famiglia, ma doveva servirlo al 100%; ma aggiunse che, comunque, pensava che la soluzione migliore risiedesse in una “scelta personale”. Si tenne anche un altro convegno, sul tema dei problemi di come educare all’unità tra le chiese quando c’è poca o nessuna unità all’interno di ciascuna delle nostre chiese; e, ancora, il tema del fondamentalismo, a cui si oppone il vangelo vivente, che ha la capacità di adattarsi a ogni tempo e a ogni contesto ma che mantiene al contempo il vero cuore del suo messaggio.

Nel 2010 ricevetti l’invito da parte del reverendo Fred Sheldon Mwesigwa a intervenire sul tema “Religione, pace e sviluppo” in occasione di un forum internazionale presso l’Università cristiana dell’Uganda a Mukono. Questi erano i motivi che stavano alla base del forum: “La religione è una delle forze più potenti o uno dei fattori più unificanti per i popoli dell’Africa orientale. Gli eventi del genocidio ruandese del 1994 e la cattiva luce in cui è stata messa la religione, dipingendola come il fattore che ha determinato lo sterminio di migliaia di tutsi e di hutu moderati; il coinvolgimento dei leader di etnia keniota, tra i quali in qualche misura anche leader religiosi, e/o la mancata condanna del conflitto violento; la recentissima violenza ugandese, etnicamente e monarchicamente segnata, nella regione centrale, e altre esperienze negative, sparse qua e là, di violenza religiosamente orchestrata nella storia dell’Uganda: tutti questi sono indici di una regione che non è nota soltanto per essere una delle più cristianizzate del mondo, ma anche una delle più fragili in termini di relazioni umane…”.

I brevi interventi presentati ricoprivano molti dei temi conflittuali: l’accaparramento delle terre, il colonialismo, l’antisemitismo, le problematiche tribali e ancestrali, e molti altri. Al momento di preparare il mio intervento (presentato come tredicesimo), essendo l’unica conferenziera non accademica, laica e impegnata a tempo pieno nell’ecumenismo, ero consapevole di alcune delle ragioni storiche del conflitto. La mia idea, secondo cui alla radice della maggioranza dei problemi dell’Africa orientale sta una “storia ferita”, si rivelò provvidenziale. A tal punto che, dopo aver ascoltato i dodici interventi che confermavano la mia visione, potei parlare con fiducia, sottolineando questo aspetto. Alla sessione plenaria seguente il mio suggerimento fu di dedicare il successivo convegno al tema della “Guarigione di una storia ferita”, dicendo che con piacere avrei fornito loro l’esponente di spicco nel campo della cura pastorale (pastoral care) e del ministero di guarigione (healing ministry), il reverendo Russell Parker, autore di un meraviglioso libro che porta lo stesso titolo.

La mia proposta fu entusiasticamente accolta e il convegno ebbe luogo nel 2013 a Mbarara (sede del vescovo Fred Sheldon Mwesigwa), in Uganda, con Russ Parker come relatore principale. Questo evento fu anche il tappetino di lancio per l’allargamento dell’IEF in Africa orientale. Al termine della sessione plenaria finale, dopo che tutti ebbero l’occasione di valutare l’esito del convegno, il più anziano dei due sceicchi musulmani, proveniente dal Nord Uganda, chiese di parlare e, con grande emozione, manifestò quanto per lui quel convegno fosse stato una rivelazione, e supplicò di essere aiutato a risolvere la situazione violenta nella sua regione del Nilo occidentale in Uganda settentrionale. A conclusione del convegno fu deciso che la successiva conferenza si sarebbe tenuta a Nairobi, in Kenya, dando così la possibilità all’IEF di espandersi ulteriormente.

Nairobi aveva beneficiato per vent’anni della presenza del Nairobi Ecumenical Group – come l’IEF un’organizzazione di base indipendente – a partire dall’amicizia tra il prete della cappella universitaria cattolica di St Paul e il pastore della chiesa presbiteriana PCEA di St Andrew. Questi incontri informali regolari crebbero nel tempo senza una particolare forma e divennero gradualmente ecumenici. Fu questo gruppo a organizzare per la prima volta la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, così come le conversazioni Round Table. Fu così che i suoi membri accettarono entusiasticamente di entrare in relazione con l’IEF, in vista dell’organizzazione di un possibile convegno. Dal momento che il mio amico missionario d’Africa, p. Martin, era il solo ad avere una minima esperienza dell’IEF, essi avevano bisogno di un aiuto, e così il mio ruolo fu di accompagnarli a incontrare tutti i responsabili delle chiese a Nairobi, oltre ai responsabili dell’All Africa Council of Churches, del Kenyan Ecumenical Council, della Pan African Evangelical Alliance, delle chiese ortodosse, e anche delle comunità del Focolare e di Taizé a Nairobi. Così, dopo un percorso accidentato, dal 26 al 28 maggio 2016 si tenne al Tangaza College dell’Università cattolica dell’Africa orientale a Nairobi il Capitolo Kenya dell’IEM sull’unità tra i cristiani in Africa orientale. I contributi, per lo più di natura accademica, si caratterizzano per un’eccellente qualità e una ricca diversità. 

Il prossimo convegno si terrà nuovamente a Mbarara dal 7 all’8 agosto 2018 sul tema “Unità nella diversità”: se Dio vorrà, vi parteciperò nonostante la mia veneranda età di ottant’anni. Un’altra tappa sulla complicata via dell’ecumenismo in Africa. Questo viaggio avventuroso è completamente diverso da quello dell’ecumenismo in Europa: è un atto di fede con i suoi bassi ma, soprattutto, con i suoi alti!

Rimaniamo attenti agli sviluppi futuri.