XV domenica del tempo Ordinario

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata cm 32 x 40 (particolare)  - stile bizantino
LE ICONE DI BOSE - Gesù, buon Samaritano
di ENZO BIANCHI
Un esperto studioso della Legge interroga Gesù ponendogli la domanda essenziale: «Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna», una vita che non finisca qui sulla terra, ma continui per sempre, nel Regno?

Anno C
Lc 10,25-37

14 luglio 2013

Un esperto studioso della Legge interroga Gesù ponendogli la domanda essenziale: «Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita eterna», una vita che non finisca qui sulla terra, ma continui per sempre, nel Regno? L’esigenza posta da quest’uomo è estremamente seria; essa è però viziata dall’atteggiamento che muove la sua domanda: «lo interrogò per metterlo alla prova». È lo stesso comportamento di Satana (cf. Lc 4,2), è quello di chi entra in dialogo con Gesù non per vivere le sue parole, ma si serve di ogni mezzo, anche della Legge di Dio, per tendergli un tranello.

Gesù non polemizza, ma rinvia il suo interlocutore alla competenza che gli è propria, invitandolo a rispondere da solo: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». L’altro fornisce una risposta ineccepibile, citando due passi della Torah che, insieme, formano il primo e più importante dei comandamenti, il cuore della volontà di Dio rivelata nelle Scritture: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza (Dt 6,5) e il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18)». Si tratta di un precetto che non va commentato, va vissuto! Ecco perché Gesù ribatte: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai», avrai la vita eterna. Qui potrebbe chiudersi questo incontro…

Ma il dottore della Legge, evidentemente scosso dalla nettezza dell’affermazione: «Fa’ questo», comincia a giustificarsi. Egli cerca un’astuta scorciatoia che gli consenta di autoassolversi, di evitare il faccia a faccia con il proprio cuore doppio, non disposto a mettere in pratica ciò che conosce come cosa buona da realizzare. E lo fa con una domanda generica: «Chi è il mio prossimo?». Sì, perché ciò che lo inquieta è l’applicazione del comando dell’amore. Ovvero, chi deve essere oggetto del suo amore? Il prossimo? I connazionali? I fratelli nella fede? Gli altri?

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