Giovedì santo
Questa sera voglio sostare sulla lavanda, ma non dimentico che il gesto eucaristico, così come la lavanda, vuole manifestare l’amore di Gesù, svelare l’amore di cui Gesù è stato capace, dirci come Gesù aveva speso la vita e l’ha voluta anche dare subendo l’ingiustizia, la violenza degli uomini, subendo il tradimento di chi mangiava con lui lo stesso pane (cf. Sal 41,10; Gv 13,18) e sedeva alla stessa tavola, ma mentiva; subendo il tradimento all’alleanza comunitaria da lui vissuta interamente; subendo anche l’incomprensione e la non vicinanza di quelli che aveva scelto «perché stessero con lui» (Mc 3,14). Gesù ha vissuto questo senza contraddire l’amore, senza venir meno all’amore; e in questo Gesù non ha solo vissuto con forza ciò che gli apparteneva nella sua vita umana, ma ha anche raccontato Dio e lo ha raccontato non nella quantità delle sofferenze, non nel soffrire e nel morire, ma nel vivere sofferenze e morte ingiusta in un preciso modo, mai venendo meno all’amore. La morte di Gesù, la sua passione hanno questo di unico e sono per noi oggetto questa sera di contemplazione: non in quanto morte, non in quanto sofferenza, ma perché Gesù è riuscito a vivere morte ingiusta e sofferenza continuando ad amare e mai contraddicendo l’amore.
Durante l’ultima cena Gesù è con i discepoli e dice, secondo Paolo che si rifà alla tradizione: «Questo è il mio corpo che è per voi … Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue». Che cosa significano queste parole? Significano: «La mia vita è stata, è e sarà nelle prossime ore vita donata a voi, spesa per voi. E la mia morte, fino al sangue versato, è un nuovo patto, una nuova alleanza, ultima e definitiva, con voi». Pensiamo almeno un momento al contesto reale di queste parole. Con Gesù ci sono i discepoli, uomini ai quali egli si è dato e per i quali ha consumato la vita: tra di loro c’è uno che lo tradisce, che vive nella menzogna ormai da tempo ma continua a stare con Gesù; uno che lo rinnega, e solo dopo si pentirà nonostante gli avvertimenti che Gesù gli aveva dato personalmente; e gli altri, impauriti, ignavi, inerti, che lo abbandonano tutti. Gesù dice: «Io vi do il mio corpo»; gli altri – Paolo legge la comunità di Corinto, ma era la comunità del Signore quella sera, è la nostra comunità questa sera, è la comunità della chiesa –, gli altri tengono il «proprio» (ciò di cui pensano di avere proprietà); addirittura, pur partecipando alla cena in cui il Signore dà tutto, anche il suo corpo – «il mio corpo che è per voi» –, gli altri tengono il «proprio» per sé fino a mangiare – dice Paolo – il «proprio» cibo e dunque in realtà non sono partecipi della cena del Signore (cf. 1Cor 11,17-22).