XXV domenica del tempo Ordinario
commento al Vangelo
di ENZO BIANCHI
L’invito di Gesù ai suoi discepoli è a procurarsi amici con la stessa determinazione che hanno i figli di questo mondo, ma anche facendo un uso diverso della ricchezza
Anno C
Lc 16,1-13
22 settembre 2013
Il brano del vangelo di Luca previsto dalla liturgia per questa domenica si ferma purtroppo al versetto 13, omettendo quello successivo che svela il contesto e l’uditorio della parabola e delle parole pronunciate da Gesù: “I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui” (Lc 16,14), aiutandoci a capirle in profondità. Abbiamo quindi degli uomini che ascoltavano le parole di Gesù ma, proprio a causa della loro cupidigia, del loro attaccamento al denaro, non potevano accoglierne l’insegnamento e finivano per disprezzarlo. Del resto è a questi stessi uomini religiosi, che gli rimproveravano il suo ricevere i peccatori e mangiare con loro (cf. Lc 15,2), che Gesù ha appena indirizzato le tre parabole della misericordia. E proprio questa grande capacità di compassione verso i deboli, gli smarriti, i peccatori fa dell’insegnamento di Gesù qualcosa di estremamente esigente: un insegnamento profetico che smaschera le diverse forme di idolatria capaci di alienare soprattutto gli uomini religiosi, un insegnamento che cerca di colpire, di smuovere i cuori degli ascoltatori per ricondurli all’unico Signore. Un insegnamento che sovente scompagina ancora oggi il nostro comune sentire: così la pagina odierna del vangelo – di facile comprensione letterale – ci appare irta di difficoltà nell’interpretarla, paradossale, con quella parabola così strana, apparentemente fuorviante e inadatta a rispondere alle esigenze di un’etica segnata da giustizia, veridicità, lealtà.
Cerchiamo tuttavia di cogliere con semplicità il messaggio evangelico: un amministratore, accusato di aver sperperato le ricchezze a lui affidate da un uomo ricco, prima di lasciare il proprio incarico, chiama i debitori del padrone e, con un’operazione di falsificazione delle ricevute, li rende debitori verso se stesso. Così, anche se licenziato, avrà qualcuno che gli dovrà riconoscenza. Grande astuzia, dunque, e grande, doppia disonestà verso il suo padrone, il quale tuttavia, conosciuta la vicenda e saputo come il suo amministratore si era “aggiustato il domani”, lo elogia per aver agito con scaltrezza. Sì, padrone e amministratore sono entrambi “figli di questo mondo” e il loro ragionamento è certamente mondano, segnato da furbizia, ma anche da falsità e ingiustizia.
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