Giovedì santo
Omelia di ENZO BIANCHI
Se Gesù ha detto – lo abbiamo sentito – consegnando il pane: “Il mio corpo è per voi (hypér hymôn)” (1Cor 11,24), noi dovremmo saper dire lo stesso: “Il mio corpo, tutta la mia esistenza è per voi”. Dovremmo dire al fratello: “Il mio corpo, la mia esistenza è per te, perché il mio corpo è la mia vita”. Ecco, è il corpo che è la via di Dio, non ci sono altre di vie né per noi per andare a Dio, né per Dio per venire a noi. E quando dico che il corpo è la via di Dio, intendo il mio corpo, il corpo dell’altro, il corpo che è la chiesa: tutta questa realtà è il corpo di Cristo.
Il Signore ci ha parlato, noi siamo restati in ascolto: si tratta ora semplicemente di accogliere la sua Parola, di aprire i nostri cuori perché la Parola del Signore possa trovare dimora nelle nostre vite.
Le tre letture ci testimoniano la celebrazione della Pasqua nell’antica alleanza (Es 12,1-14), la celebrazione della Pasqua nella comunità della nuova alleanza (1Cor 11,23-32) e la celebrazione della Pasqua operata da Gesù nell’ora del suo esodo da questo mondo al Padre (Gv 13,1-15). La Pasqua è il mistero centrale della fede per il popolo di Israele e per la chiesa cristiana; la Pasqua è questa festa, celebrazione, memoriale dell’azione di liberazione di Dio nella storia, liberazione degli uomini. La Pasqua è il rinnovamento dell’alleanza fedele tra Dio e la sua comunità, e attraverso la sua comunità alleanza anche con tutta l’umanità, tutta chiamata alla salvezza.
È il Signore stesso che vuole che la sua Parola raggiunga la comunità di Israele e determini il modo di celebrare quel memoriale pasquale. E il testo dell’Esodo che abbiamo ascoltato ci dice che tutta la comunità, tutta la chiesa (kol ‘edah: Es 12,3; kol qahal: Es 12,6) dovrà celebrare la Pasqua, dovrà immolarla al tramonto del quattordici di Nisan. Tutta la comunità, tutta la chiesa è soggetto celebrante, e si precisa anche che nessun incirconciso potrà mangiare la Pasqua, ma solo tutta la comunità di Israele (cf. Es 12,48). E con una consapevolezza che deve essere assolutamente rinnovata di generazione in generazione si celebrerà la Pasqua: per questo tutti i testi di istituzione della Pasqua, i tre testi dell’Esodo oltre al nostro (cf. Es 13,3-10; 23,14-19; 34,18-26), chiedono che nella trasmissione della festa pasquale si istruisca la nuova generazione, si dica che cosa significa questo atto cultuale. Anzi, diventa un dovere per i giovani chiedere: “Perché celebriamo così questa festa, che cosa significa?” (cf. Es 12,26).