Giovedì santo

 

Abbiamo dunque tre racconti di alleanza, tre racconti di comunione tra credenti e di comunione tra la comunità e il Signore, ma anche tre richieste di consapevolezza e un unico messaggio narrato e fatto memoriale: il Signore è al servizio dell’uomo, della sua comunità, Israele, della sua comunità, la chiesa.

Ogni anno io mi soffermo soprattutto su una lettura, e siccome lo scorso anno ho sostato sulla lavanda dei piedi nel quarto vangelo, quest’anno sosto sul testo della prima lettera ai Corinzi. Lo conosciamo bene, anche se, come tutte le pagine del Nuovo Testamento, ci appare sempre inesauribile nella ricchezza del messaggio: basta che passi un anno e lo comprendiamo già in modo diverso, semplicemente perché abbiamo vissuto e, vivendo, se abbiamo vissuto umanizzandoci, capiamo di più anche il Signore. C’è una comunità fondata dall’Apostolo, con tante fatiche, la comunità di Corinto, la più amata da Paolo, che però a pochi anni dalla sua fondazione, in assenza di Paolo mostra di essere una comunità già spiritualmente malata. L’essere collocati nella marea del mondo pagano, in cui l’idolatria era dominante, il vivere un’economia liturgica che si faceva sempre di più garanzia di salvezza, un soggettivismo nella comunità di Corinto, che aveva mostrato molti doni – non c’è nessuna comunità nel Nuovo Testamento così ricca di soggettività e di carismi come quella di Corinto –… ma quel soggettivismo che la rendeva così feconda e ricca era diventato un individualismo che voleva far precipitare la chiesa in una situazione di non-chiesa.

Di questa situazione patologica per Paolo è un’epifania la celebrazione dell’eucaristia, come l’eucaristia è vissuta nella comunità. Paolo è costretto a denunciare: “Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore” (1Cor 11,20). Per questo il primo dovere dell’Apostolo è ricordare il Vangelo: egli ricorda il Vangelo, la buona notizia, la tradizione, che lui aveva ricevuto dal Signore e che aveva trasmesso alla sua comunità. “Vi ho trasmesso quello che io ho ricevuto” (cf. 1Cor 11,23), non qualcosa di proprio o di suo, perché Paolo è l’Apostolo senza interessi personali. Paolo dice: “Il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese il pane, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo che è per voi’ – sottolineo la forma paolina delle parole di Gesù: “Il mio corpo che è per voi” –. Fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo: ‘Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Ogni volta che ne bevete, fate questo in memoria di me’” (1Cor 11,23-25). Così – Paolo dice – si annuncia la morte del Signore (cf. 1Cor 11,26), cioè si fa della morte del Signore una buona notizia, si vede nella morte di Gesù la morte del Servo del signore profetizzata da Isaia (cf. soprattutto Is 52,13-53,12), quella morte in cui, proprio nell’atto estremo del dono di sé fino al dono del sangue, è stata stipulata un’alleanza nuova tra Dio e il suo popolo.