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Silenzio in vacanza, se riposare stanca

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1999, olio su tela, cm. 50x60 (coll. priv.)
TRENTO LONGARETTI, Paesaggio rosso e nero con tre lune
Articolo di ENZO BIANCHI
È possibile usare le vacanze per accrescere la propria libertà, imparando a discernere di cosa e di chi siamo schiavi

Avvenire, 14 luglio 2007

Nonostante il diversificarsi dell’organizzazione del lavoro, la precarietà di molti impieghi, il moltiplicarsi di offerte allettanti durante l’intero arco dell’anno, l’estate rimane, complice anche il calendario scolastico, il tempo delle vacanze per eccellenza. Realtà ignota alla stragrande maggioranza della popolazione nelle società agricole di ieri e di oggi, nel nostro occidente industrializzato e dei servizi, la vacanza assomiglia per molti a un obbligo morale, a un dovere che si cerca di assolvere nel modo meno scontato possibile. Non solo, ma quella delle vacanze e del tempo libero è diventata una vera e propria “industria”, un fenomeno socio-economico che si autoalimenta e che conosce intrecci curiosi: così la vacanza degli uni è lavoro per gli altri, negli stessi posti e nel medesimo tempo. Ma per chi ha la possibilità di viverle, le vacanze sono giorni in cui può “vacare”, cioè “essere libero, avere tempo per...”, in cui può finalmente “dare tempo al tempo”: ma per fare cosa? E così, per paradossale che possa essere, frotte di abitanti delle città programmano partenze intelligenti per viaggi assurdi che terminano in borgate alpine o località marittime affollate dagli stessi difetti delle metropoli; schiere di viaggiatori “alternativi” varcano oceani per imbattersi nel vicino di casa su un’isola esotica; astuti sedentari scoprono orizzonti impensati nel proprio quartiere tornato a dimensione umana…

Pubblicato su: Avvenire