Così il gallo ci annunciava la speranza

Olio su tela, particolare dell’opera Ippolita con il gallo cm 100x75 - 1966 - col. priv.
FRANCO GENTILINI, Il gallo
articolo di ENZO BIANCHI
E’ il gallo che ha da tempo immemorabile l’incarico di annunciare la luce alle cose, quasi che il suo canto imperioso ingiunga

La Stampa, 12 agosto 2007

Quando oggi parliamo dell’udito e di ciò che esso recepisce, pensiamo subito al rumore, alla mancanza di silenzio e non a caso l’inquinamento sonoro è ormai percepito come un problema ecologico. Del resto, l’udito è un senso sempre in funzione perché le nostre orecchie sono sempre aperte: a differenza degli occhi e della bocca, non possiamo chiuderle e quindi questo doppio orifizio, nonostante la sua apparente passività – non si muove, né morde, né penetra, né cattura... - è in realtà l’unico a essere sempre in funzione, giorno e notte. Sempre aperte sul mondo, le orecchie non sanno opporre nessuna chiusura: possiamo solo tendere l’orecchio oppure fare i sordi, ma non possiamo impedire al suono di raggiungerci. Così, se l’occhio cattura la visione e può fermarsi a contemplarla, se la mano può stringere e continuare a palpare e sentire, se la bocca può continuare a gustare, l’udito può solo ascoltare nella fugacità del suono e non può nulla trattenere né contemplare. Diciamo “porgere l’orecchio” ed è un atto provvisorio perché il suono, una volta ascoltato nella sua forza, non è più, è già passato.

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