E l'uomo creò il Dio violento
Il problema delle radici della violenza oggi si pone con urgenza e il silenzio e l’afasia che al riguardo sembrano prevalere nello spazio dei credenti vanno superati
La Stampa, 14 ottobre 2007
La violenza è una malattia congenita dei monoteismi? E’ una domanda che risuona con sempre maggior frequenza in questi tempi, anche se sovente appare un semplice espediente retorico per dare a se stessi una risposta sbrigativamente affermativa ed evitare così di riflettere più in profondità su quanto sta accadendo. Credo che il discorso andrebbe affrontato con maggior serietà perché non riguarda solo i credenti o i loro detrattori, ma l’insieme della convivenza civile nel nostro “villaggio” che ha visto anche la violenza assumere dimensioni globali. Non servono infatti attacchi inconsulti né difese d’ufficio, ma una pacata lettura della storia e delle indicazioni contenute nei testi fondanti le religioni monoteiste. E’ quanto mi pare cerchi di fare con serietà e competenza l’egittologo Jan Assmann nel suo Non avrai altro Dio (Il Mulino) presentato giovedì su queste pagine assieme a un commento di Gian Enrico Rusconi. Vorrei allora inserire la mia riflessione tra il suo incipit (“Sono finiti i tempi in cui si poteva interpretare la religione come oppio dei popoli: oggi la religione si presenta piuttosto come dinamite dei popoli”) e le sue conclusioni (“La violenza religiosa non è un sentimento originario”), sperando di contribuire così a quanto auspica Assmann (“tracciare una chiara linea divisoria tra il concetto di religione e il concetto di violenza”) e offrire nel contempo un tentativo di risposta agli interrogativi posti da Rusconi.
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