Senza un luogo nè memoria

Olio si tela,  Basilea 1957  - Collezione Privata
GUIDO CADORIN, Solitudine
La Stampa,
30 dicembre 2007
di ENZO BIANCHI
In radice l’acedia è incapacità di perseverare, di dedicarsi, di avere cura

La Stampa, 30 dicembre 2007

Un nuovo anno si affaccia sui fogli di agende e calendari, invitandoci silenziosamente a bilanci e promesse, a ripensamenti e nuove prospettive: potremmo dire che la banale domanda “dove vai per l’ultimo dell’anno?”, diviene la domanda che ciascuno rivolge a se stesso: “Dove voglio essere quest’anno? Dove mi colloco, dove cerco di vivere, quale luogo può aiutarmi a ritrovare senso e voglia di vivere?”. E l’ansia o la svogliatezza con cui abbozziamo una risposta a questi interrogativi ci riconducono a un antico vizio, che i greci chiamavano akedía (lett.: “assenza di cura”) e che la tradizione occidentale ha accostato alla tristezza: un malessere che non mette alla prova solo coloro che vivono in solitudine, perché riguarda in profondità ogni persona; anzi, sono in molti oggi (Z. Baumann, U. Galimberti...) a chiedersi se l’acedia non sia il male del nostro tempo nella nostra società occidentale, quello che tocca più da vicino l’uomo contemporaneo. Se consideriamo alcuni sinonimi dell’acedia, li troveremo più familiari ai nostri orecchi: sconforto, svogliatezza, pigrizia, scoraggiamento, tedio, noia, disgusto, male di vivere, torpore, superficialità, mancanza di resistenza, di profondità, di perseveranza in un luogo e in un lavoro; l’acedia è la nausea di cui parlava Jean-Paul Sartre, è il non-senso che ci assale, è ciò che si avvicina pericolosamente alla stato di depressione.

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