Gerusalemme: città-visione di pace
06 gennaio 2008
di ENZO BIANCHI
Segno e luce per tutte le genti
Avvenire, 6 gennaio 2008
Da almeno tre millenni, cioè dalla conquista di Davide, le vicende politiche e militari della storia di Gerusalemme si intrecciano con la sua dimensione spirituale e così il suo nome “Visione di pace” è costantemente segno di speranza e di contraddizione, attesa e disillusione. Sono le radici ancora più antiche di Gerusalemme a fare di essa il luogo di incontro e di ostilità tra ebrei, cristiani e musulmani, tra coloro che si dichiarano “figli di Abramo”: questi accettò di sacrificare il figlio (Isacco secondo la Bibbia, Ismaele secondo il Corano) sul monte Morjah, il monte identificato con l’altura di Gerusalemme, in risposta all’appello di Dio e divenne così ‘Avinu, “nostro padre”, padre di tutti i credenti nel Dio unico.
Proprio queste ascendenze comuni, questo guardare verso Sion come luogo di cui è detto “Ogni uomo è nato là; insieme danzeranno cantando: In te le nostre fonti!” (Sal 87,5-7), questo considerare Gerusalemme come città “unica e universale”, come “la Santa” (al-Quds è chiamata dalle genti dell’islam), fanno sì che le prospettive che i credenti delle tre religioni nutrono su di essa siano diverse e abbiano suscitato nel corso della storia fino a oggi ostilità, violenze, guerre, visioni di sangue e di morte.
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