Orgoglio: e l'io diventa un idolo
di ENZO BIANCHI
Una persona che fa di se stesso e della propria immagine l’unico fine
La Stampa, 13 gennaio 2008
Eccoci al termine del nostro itinerario nei “pensieri malvagi”: un percorso attraverso i “vizi capitali” che si è rivelato un ripensamento sul nostro rapporto con la complessa realtà di cui siamo fatti e che ci circonda: il cibo e il corpo, lo spazio e il tempo, le cose e gli altri, il nostro agire. L’ultimo “pensiero”, la hyperefanía (lett.: “sovra-manifestazione”, da cui la nostra super-bia) l’orgoglio, è una patologia che i padri della chiesa consideravano sì l’ultima contro la quale dobbiamo combattere e per questo la collocavano alla fine della lista dei vizi, ma al contempo la giudicavano la prima per origine e in ordine di tempo e la leggevano come patologia del rapporto con Dio. L’orgoglio, inoltre, è strettamente legato alla vanagloria, tanto che la tradizione spirituale ha esitato a lungo a trattare separatamente queste due passioni, e, in ogni caso, le ha sempre poste in relazione diretta: “la vanagloria – scriveva Giovanni Climaco – quando è giunta a piena maturazione, genera l’orgoglio, autore e perfezionatore di tutti i mali”.
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