Comunione anglicana: un ponte tra i cristiani
di ENZO BIANCHI
Nel quasi totale disinteresse dei media italiani si è conclusa domenica scorsa la Conferenza di Lambeth, riunione decennale dei vescovi della Comunione anglicana
La Stampa, 10 agosto 2008
Nel quasi totale disinteresse dei media italiani si è conclusa domenica scorsa la Conferenza di Lambeth, riunione decennale dei vescovi della Comunione anglicana, svoltasi a Canterbury. Del resto, perché interessarsi di problematiche interne a un insieme di chiese diffuse sì nei cinque continenti, ma che contano un numero complessivo di fedeli inferiore agli ottanta milioni, una piccola porzione degli oltre due miliardi di cristiani che popolano il globo? Eppure, a ben guardare, i motivi di interesse non mancherebbero: la Comunione anglicana, infatti, è considerata storicamente come “via media” tra il cattolicesimo e il mondo protestante, capace di dialogare con entrambe le sponde della cristianesimo occidentale laceratosi con la riforma e, nel contempo, di gettare un ponte privilegiato verso l’ortodossia. Inoltre, l’origine della sua espansione dalla nativa “chiesa madre” inglese ai paesi dell’impero britannico prima e del Commonwealth poi, nonché la forte propensione missionaria dei suoi membri hanno fatto sì che i “legami di affetto” che uniscono tra loro la quarantina di chiese sovranazionali riunite in province assumessero una dimensione di “cattolicità”, di diffusione universale di un modo di interpretare e di vivere il cristianesimo nella storia, in un confronto fecondo con la modernità.
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