Le radici di un culto

IGOR MTORAJ, Porte della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri  - Roma
...In ogni caso la croce per il cristiano resta scandalo, come ha saputo narrare Matthias Grünewald nella pala di Colmar, e resta narrazione dell’amore di Dio vittorioso sulla morte, come splendidamente illustrato da Igor Mitoraj sulla porta di Santa Maria degli Angeli a Roma...
La Repubblica
2 dicembre 2008
di ENZO BIANCHI
Se la croce è simbolo, lo è di una vita spesa, offerta da un uomo per gli altri uomini, per restare fedele a Dio fino ad accettare una morte violenta e infamante, fino a essere ridotto a un maledetto


La Repubblica, 2 dicembre 2008

Alla vigilia della Pasqua ebraica dell’anno 783 dalla fondazione di Roma, su un colle fuori dalle mura di Gerusalemme vengono giustiziati mediante il supplizio della croce alcuni condannati, tra i quali Gesù di Nazaret, il rabbi galileo riconosciuto profeta e Messia dai suoi discepoli, uomini e donne: dopo un processo religioso sommario nella casa del sommo sacerdote Caifa, che lo giudicava bestemmiatore e nocivo al bene del popolo di Israele, Gesù era stato consegnato al procuratore romano Pilato che, per opportunità politica, lo condannò a morte.

Tutte le testimonianze scritte sono concordi nel dichiarare che Gesù è morto in croce. Ma questo supplizio di «appeso al legno», era per gli ebrei segno di maledizione da parte di Dio e degli uomini (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), giudicato secondo la Legge come peccatore assoluto, un uomo indegno del cielo e anche della terra, e perciò esposto a mezz’aria, nudo, nella vergogna ostentata a tutti. Quanto ai romani, basta ricordare che Cicerone definiva il supplizio della croce come «crudelissimo, sommo ed estremo supplizio riservato allo schiavo», dunque non applicabile a un cittadino romano. La croce era uno strumento a forma di T: il condannato, una volta flagellato, doveva portare sulle spalle la trave trasversale fino al luogo del supplizio, dove si trovava issato un palo per la crocifissione. Così innalzato sulla croce, a cui era legato o inchiodato, egli moriva dopo ore o giorni di terribili tormenti; talvolta per accelerare la fine gli venivano spezzate le gambe in modo che, cedendo il corpo, il condannato morisse per asfissia.

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