I colori dell'adorazione
di ENZO BIANCHI
Forse oggi dovremmo tornare al cuore del Natale, al Dio fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio, a quel neonato che ridesta in ciascuno di noi l’immagine e la somiglianza con Dio che niente e nessuno potrà mai cancellare
Il mistero dell’incarnazione che le chiese cristiane festeggiano in questi giorni è emblematico di come la teologia e la spiritualità d’oriente e d’occidente abbiamo cominciato a differenziarsi già nel primo millennio: l’oriente ha sottolineato la dimensione di “epifania”, cioè la “manifestazione” del Divino avvenuta in Gesù di Nazaret, mentre l’occidente ha privilegiato l’aspetto storico dell’incarnazione, il parto di Maria, la nascita a Betlemme del Messia atteso. Questa differenza di accenti si è riversata anche sull’iconografia che, in occidente, ha via via abbandonato la natura di sintesi dossologica propria delle icone orientali, per insistere sulla concretezza di un evento storico caricato di una forte simbologia teologica.
La raffigurazione della nascita di Gesù a Betlemme ne è un esempio paradigmatico. L’affresco della Natività (1437-1445) ad opera del Beato Angelico al Convento San Marco di Firenze ci può guidare in un affascinante percorso verso il cuore del messaggio cristiano e la lettura diversificata che si può avere di questo “evangelo”, di questa buona notizia per gli esseri umani oggetto del beneplacito di Dio, gli “uomini di buona volontà” del canto del Gloria. Se prima, con Giotto, Duccio e Lorenzo Monaco, troviamo ancora tracce di un’ispirazione bizantina, dunque del comune sentire di due spiritualità non ancora estranee l’una all’altra – si pensi per esempio alla figura di Giuseppe, raffigurato come tentato dal diavolo in oriente e come dormiente assorto nel rievocare il sogno in occidente – con il Beato Angelico il bambino Gesù è ormai al cuore del dipinto, fulcro verso cui converge l’adorazione di Maria e di Giuseppe e del creato intero. Nelle icone orientali, la Madre di Dio non guarda mai verso il Figlio che ha partorito, ma volge il suo sguardo oltre, verso il mistero ma anche verso il fedele che contempla l’icona; qui invece, lo sguardo adorante e sereno di Maria è posato sul bimbo nudo a terra, mentre le mani giunte invitano al raccoglimento e alla preghiera. Stesso atteggiamento di adorazione del bambino in Giuseppe ma anche – altra novità – in personaggi, soprattutto santi, totalmente estranei all’evento storico di Betlemme ma evocati dall’artista e resi testimoni, confessori dell’incarnazione. Anche gli angeli, più che annunciare l’evento ai pastori, adorano in una solenne liturgia celeste.
Pubblicato su: Avvenire