Oriente. Minacce e speranze nella culla della croce
di ENZO BIANCHI
Ci sono ancora comunità cristiane che vivono giorno dopo giorno la “grazia a caro prezzo” dell’appartenenza al Signore Gesù
Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme… quattro delle cinque città che componevano l’antica “pentarchia” sono in quella regione della terra designata come “Oriente”, “Vicino Oriente” o “Medio Oriente”. E’ lì la culla della fede cristiana; lì fiorirono le prime comunità di discepoli del rabbi di Galilea; ad Antiochia (nell’attuale Turchia), secondo la testimonianza degli Atti, essi ricevettero per la prima volta il nome di “cristiani”; dall’Oriente giungono tesori di cultura, di arte, di spiritualità: pagine di sapienza che, come un fiume carsico, hanno irrigato anche l’Occidente, si pensi in particolare ai grandi padri greci e siriaci, ma anche a copti, arabi, armeni ed etiopici. Ma chi sono questi cristiani? Cosa resta di loro?
Il cristianesimo nasce come una realtà plurale, e tale rimane ancora oggi. Una pluralità dovuta a diversità di origine, cultura, storia, idioma. Semiti e greci innanzitutto, ma non solo. L’evento unico della morte e resurrezione di Cristo è stato elaborato e tramandato secondo categorie proprie a ciascun popolo, in una diversità che, pur non essendo mai stata pacificamente accolta, è riuscita tuttavia a non compromettere l’unità del corpo, almeno fino agli inizi del V secolo. Il concilio di Efeso nel 431 segna infatti la prima divisione tra cristiani di cui resta ancora oggi, non sanata, la ferita: uno dei concili più dolorosi della storia della chiesa, dove allo schietto desiderio di affinare la comprensione del dogma cristologico si mescolarono anche rivalità personali e instabili equilibri politici. Un’importante parte della cristianità del tempo, peraltro non rappresentata a quel concilio da nessun vescovo, si ritrovò da quel momento non più in comunione con il resto delle Chiese: è così normalmente spiegata l’origine della Chiesa Assiro-Caldea (o Siro-orientale, un tempo detta impropriamente “Nestoriana”). In realtà la storia, come sempre, è più complessa, e la “divisione” fu principalmente l’effetto dell’isolamento di queste comunità, venutesi a trovare al di là del confine dell’impero romano (cristiano) e all’interno di un regno antagonista, quello persiano. Comunità che dovettero, per poter sopravvivere, rinunciare alla comunione con le altre Chiese, ma che nondimeno seppero mostrare una vitalità spirituale e un impulso missionario fecondi, giungendo a portare la buona notizia del Vangelo e a fondare comunità cristiane in tutta la Persia e l’Arabia, percorrendo la via della seta, fino in India e in Cina.
Pubblicato su: Avvenire