«Non mi sento più sicuro se alzo un muro, ma soltanto se combatto le ingiustizie»
intervista ad ENZO BIANCHI
a cura di TULLIA FABIANI
Conoscere se stessi, i propri limiti, le proprie risorse, e conoscere l’altro attraverso l’ascolto e il dialogo è il punto di partenza per affrontare la paura e vincerne le irrazionalità
Giorni fuori dal monastero: la sua presenza è richiesta, pregata. Sperata. Conferenze, inviti, presentazioni. La voce profonda e quieta raccoglie attenzione, intercetta sensibilità; gli occhi chiari e stretti in quel faccione barbuto e canuto, apparentemente burbero, calamitano sguardi, seminano interrogativi e riflessioni. Lui, Enzo Bianchi, monaco, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose, pare non curarsi però di questo «successo»; a domande risponde, cortese. Ma è dai tocchi delle campane - a scandire le ore del lavoro, della preghiera e del silenzio - che il suo tempo è davvero segnato. Le conferenze, le presentazioni, i libri ne sono importante corollario. Anche questo ultimo libro, L’altro siamo noi (Einaudi), è il frutto di una meditazione prolungata nel tempo e sperimentata nelle circostanze. È l’analisi critica di due categorie di appartenenza: «noi», «gli altri», declinate spesso in contrapposizione, per capire problemi, giustificare atteggiamenti e incomprensioni. L’occasione per tornare a parlare dello «straniero», dell’«altro», e farlo attraverso una visione che passa per il dialogo, partendo da ciò che è alla base dell’esperienza umana, al di là di contingenze politiche e storiche. Del resto, anche nel commento al Vangelo della Pentecoste Bianchi lo ricorda: «È proprio nella potenza dello Spirito che la comunità cristiana può testimoniare Cristo in mezzo a tutti gli uomini, “nelle loro rispettive lingue”».
Pubblicato su: Unita