Scopri lo straniero che è in te
di ENZO BIANCHI
Se leggiamo i vangeli, siamo posti davanti a questa capacità di ospitalità vissuta da Gesù: poveri, malati, stranieri, tutti trovavano in Gesù uno spazio di ospitalità, la possibilità di un incontro umano
La Stampa, 23 maggio 2010
Si farebbe volentieri a meno di ritornare sulle tematiche legate all’accoglienza e agli stranieri se le cronache quotidiane non ci fornissero un continuo stillicidio di tensioni e paure, reazioni abnormi, generalizzazioni di giudizi, proposte di regolamenti escludenti. E a un esame serio e sereno dei problemi e delle opportunità legate all’ospitalità non giova neanche la perdita di memoria storica che un popolo di emigranti come il nostro pare conoscere giorno dopo giorno. In questo senso il contributo dei credenti potrebbe essere più incisivo e stimolante se tornasse a quelle radici ebraico-cristiane che tanto hanno dato e ancora oggi offrono alla cultura e alla società occidentale ed europea in particolare.
Ora, chi cercasse di cogliere il messaggio presente nella Bibbia sull’accoglienza dell’altro e sui rapporti da tessere con lui incontrerebbe un dato a prima vista sorprendente: l’altro, lo straniero per l’Antico Testamento è innanzitutto Israele stesso, il popolo di Dio. Israele è contrassegnato da una stranierità ontologica, che è parte essenziale del suo essere: «Mio padre era un arameo errante», uno straniero, confessa l’ebreo che al tempio si presenta davanti a Dio. Abramo, il grande padre, si è definito lui stesso «straniero e di passaggio»; e quando viene raccontato l’esodo, cioè l’evento da cui nasce Israele, si ha il coraggio di dire che dall’Egitto uscirono i figli di Israele insieme a «una grande massa di gente promiscua» (Es 12,38). Del resto, lo stesso appellativo di ‘ibri, «ebreo», che i popoli confinanti davano a Israele e che Israele ha riconosciuto come suo, significa «abitante al di là della frontiera», cioè straniero, barbaro.
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