Il dono più grande è il perdono
di ENZO BIANCHI
Attorno a questo snodo della gratuità si dipana il bandolo delle giornate di «Torino Spiritualità», che vorrebbero contemplare l'arte come forma di dono, andare a scovare le potenzialità di un'economia al di là del profitto
La Stampa - Tuttolibri, 18 settembre 2010
Anche il nostro, come ogni periodo storico, è attraversato da contraddizioni apparentemente inspiegabili. Così, per esempio, viviamo in un mondo globalizzato, in cui flussi di informazioni, di movimenti finanziari, di migrazioni umane viaggiano a ritmi e in quantità un tempo inimmaginabili, eppure assistiamo a un deteriorarsi dell’insistenza sul locale che, da provincialismo folcloristico, degenera sempre più spesso in tribalismo violento ed escludente ed escludente il diverso. Verso il denaro poi, sembriamo preda, come società occidentali almeno, a un'analoga sorta di schizofrenia: da un lato confermiamo l’intuizione di Oscar Wilde secondo il quale «oggi si conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna», mentre d’altro lato constatiamo con sorpresa e soddisfazione il diffondersi della pratica di «donare» gratuitamente risorse e capacità: dalle associazioni di volontariato di ogni tipo alle banche del tempo, da quanti usano ogni momento libero per condividere sulla rete conoscenze e progettualità a quanti continuano a dedicarsi al miglioramento delle condizioni di vita della collettività, sia in situazioni normali che nelle emergenze più disparate.
Così quello che a prima vista sembrerebbe il pensiero dominante - il cinismo del mercato, la ricerca del proprio interesse, il pensare a cavarsela a dispetto degli altri, il monetizzare ogni attività, il pesare gli altri in base alla ricchezza posseduta... - lascia sorprendentemente spazio alla gratuità, al prevalere del bene comune sul vantaggio personale, fino al limite estremo del dono disinteressato: il perdono offerto al «nemico». Apparentemente non c’è spiegazione alla logica del gratuito, proprio come ci ricorda l’aforisma del poeta mistico Angelo Silesius: «la rosa è senza perché». I fiori, segno gratuito posto in mezzo all’efficienza, sono al di là dell’utile e dell’inutile: essi sono, e tanto basta per rallegrare un'esistenza. Nel nostro mondo di dilagante dominio della redditività, dell’ottimizzazione dei profitti, la rosa conserva la memoria attiva dell’essere senz'altra ragione che l'esserci. Attorno a questo snodo della gratuità si dipana il bandolo delle giornate di «Torino Spiritualità », che vorrebbero contemplare l'arte come forma di dono, andare a scovare le potenzialità di un'economia al di là del profitto e approfondire la visione dell'altro come valorizzazione di ogni relazione umana.
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