Appartenevano a un Altro e parlano a tutti
di ENZO BIANCHI
Un film umanissimo – che fin dalla sua presentazione a Cannes ha conosciuto un grande successo di critica e che in poche settimane di programmazione in Francia ha già superato i due milioni di spettatori – ha riacceso le luci sui monaci di Tibhirine in Algeria
Avvenire, 20 ottobre 2010
Un film umanissimo – che fin dalla sua presentazione a Cannes ha conosciuto un grande successo di critica e che in poche settimane di programmazione in Francia ha già superato i due milioni di spettatori – ha riacceso le luci sui monaci di Tibhirine in Algeria, toccando corde che a volte la predicazione e la testimonianza dei cristiani fatica a raggiungere e stimolare. Il regista ha saputo sapientemente restituire la dimensione umana di quella comunità monastica, centrata sull’essenziale della preghiera comune dei salmi, sul lavoro quotidiano, sui rapporti fraterni in comunità e con i vicini musulmani. È una vicenda che parla di vita e non di morte, di pienezza di vissuto proprio nell’assunzione dell’eventualità di una morte violenta.
Nel pacato e intenso scorrere delle immagini e dei dialoghi, riemerge con forza l’impressione suscitata dai loro scritti (raccolti nel volume {link_prodotto:id=356} appena riedito da Qiqajon): siamo di fronte a persone diversissime che giungono a poco a poco – sottomettendosi gli uni agli altri e assumendo la tragica situazione così come si va delineando – fino a un “sentire comune” che pure si manifesta con accenti propri a ciascuno. Non è allora un caso se al profilarsi dell’ad-Dio questi monaci paiono affrettarsi a ritrovarsi insieme all’Atlas: uno vi arriva dal Marocco, pochi giorni prima, per partecipare al voto per il rinnovo della carica di priore, l’altro rientra veloce dalla Francia, arriva il pomeriggio precedente il rapimento, non ha neanche il tempo di disfare le valigie per estrarne vanghe e piantine per abbellire Tibhirine, il giardino.
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