Con i perseguitati non contro i persecutori

 

La situazione dei cristiani in alcuni paesi del Medio Oriente si fa sempre più drammatica e non serve più di tanto interrogarsi con il senno di poi sull’opportunità e le modalità con cui sono stati smantellati poteri dittatoriali che tuttavia riuscivano a garantire un minimo di vivibilità alle minoranze presenti: evidentemente le tragedie susseguitesi nei territori dell’ex-Jugoslavia non hanno insegnato nulla.

Il dilemma che affligge queste comunità, emerso con forza e lucidità anche durante i lavori del Sinodo, è proprio quello tra il restare – sempre più deboli e indifesi in mezzo a rischi enormi – oppure il partire, abbandonando non solo la terra dei propri padri e delle radici della propria fede, ma anche le persone di altri fedi con le quali si sono trascorsi esistenze di quotidiana e spesso pacifica convivenza e fraternità. Dilemma atroce che nessuno dovrebbe essere obbligato ad affrontare, ma anche alternativa che nessuno può dirimere al posto di chi la vive sulla propria pelle e su quella dei propri cari. Dilemma che tuttavia pone anche a noi alcune questioni, a cominciare dalla liceità o meno di usare termini come “persecuzione” per definire la perdita di alcuni privilegi di cui godono i cristiani nei paesi occidentali. Le sofferenze e le angosce dei cristiani d’oriente ci inducono a riflettere a nostra volta sul prezzo che siamo disposti a pagare per testimoniare la nostra fede, sulla qualità dei nostri rapporti quotidiani con chi professa un credo diverso dal nostro, sul significato del restare fedeli a un luogo e una terra che siamo chiamati ad amare anche quando presenta un volto ostile.

Occorre anche riflettere su una dinamica storica inedita che da alcuni anni sta aprendo nuovi scenari nella penisola arabica: in quei paesi in cui è vietata ai cristiani ogni attività missionaria perché ritenuta proselitismo sono ormai presenti più di tre milioni di cristiani giunti con i consistenti flussi migratori legati alle attività economiche e lavorative. Non si può più parlare quindi di sparute minoranze, ma di una presenza viva e operosa.

Pubblicato su: La Stampa