I cristiani colpiti nelle chiese
di ENZO BIANCHI
In molti paesi si paga con la vita il semplice fatto di essere discepoli di Gesù di Nazareth e di testimoniare la propria fede nella vita quotidiana
La Stampa, 6 gennaio 2011
In questi stessi giorni, un anno fa, un attentato che aveva provocato una decina di morti tra i fedeli copti che uscivano dalla chiesa di Nagaa Hamadi in Egitto, ci aveva portato a riflettere, sempre sulle colonne di questo giornale, sulla persecuzione che i cristiani subiscono in varie parti del mondo, in contesti socio-culturali diversi e in situazione di minoranza religiosa che diviene, come in Medio Oriente, sempre più precaria. Il sanguinoso attentato di Alessandria d’Egitto, che ha colpito ancora una volta la chiesa copta, ha riportato l’attenzione dei media mondiali su un tragico fenomeno che non ha cessato di ripresentarsi in tutta la sua brutalità e che ancora poche settimane fa aveva fatto la sua irruzione in una chiesa di Baghdad: in molti paesi si paga con la vita il semplice fatto di essere discepoli di Gesù di Nazareth e di testimoniare la propria fede nella vita quotidiana.
Purtroppo una strage ci scuote dal torpore dell’assuefazione solo quando la sua efferatezza coinvolge un paese geograficamente, storicamente o culturalmente più vicino a noi. Allora ci si incammina in pericolose generalizzazioni: i musulmani nel loro insieme e l’islam come religione vengono identificati con l’integralismo dei suoi estremismi, dimenticando le vittime che il fondamentalismo religioso miete in tutti i campi; allora le analisi superficiali e liberatorie si sprecano: si colorano conflitti sociali o etnici con le tinte sanguinarie del fondamentalismo religioso, si dimentica il peso della storia e degli errori commessi ancora ai nostri giorni nel mescolare politica e religione, si chiudono al dialogo porte che non si sono mai volute davvero aprire. In controtendenza va sottolineato il gesto di grande sapienza e profezia con cui papa Benedetto XVI ha voluto unire alla condanna del crimine assassino e all’appello a un’autentica libertà religiosa l’invito rivolto “ai fratelli cristiani delle diverse confessioni, agli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, a tutti gli uomini di buona volontà”, per ritrovarsi insieme ad Assisi a “rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace”: un incontro in quello spirito di dialogo che Giovanni Paolo II seppe destare venticinque anni or sono nella città di san Francesco. Chi in questi anni è stato sovente criticato dentro e fuori la chiesa per questo “spirito di Assisi” oggi riceve gli elogi da quanti devono constatare che la fiaccola del dialogo e dell’ascolto reciproco è stata tenuta accesa nonostante il vento tirasse in altra direzione: penso a tanti che nella chiesa perseguono il dialogo interreligioso con spirito cristiano, senza fare politica né perseguire vantaggi personali. Assisi non sarà un incontro delle religioni “contro” chi religioso non è, ma un confronto per per riaffermarne la coerenza delle religioni con la pace e il dialogo, per mostrare la volontà di porsi a servizio dell’umanità e delle culture.
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Pubblicato su: La Stampa