Tentazioni. Quando si fa quel che si odia
di ENZO BIANCHI
La cosa peggiore nella tentazione è credere che noi combattiamo da soli. No, Dio ci tende la mano, combatte per noi e con noi
Avvenire, 20 marzo 2011
Anticipiamo in queste colonne l’introduzione e il primo capitolo del volume di Enzo Bianchi Una lotta per la vita. Conoscere e combattere i peccati capitali in uscita per San Paolo (pagine 242, euro 16,00).
Uno degli aspetti oggi più disattesi della vita cristiana è certamente quello della lotta spirituale, elemento fondamentale in vista dell’edificazione di una personalità umana, prima ancora che cristiana, salda e matura. Il relativismo etico e l’imperante cultura dell’etet , che fanno sognare la possibilità di uno stile di vita esente dal rischio e dalla fatica della scelta, sembrano rendere 'fuori luogo' e 'fuori tempo' la riflessione sulla necessità della lotta interiore. Eppure per ogni cristiano – non solo per i monaci – la lotta spirituale è più che mai essenziale. Si tratta del combattimento invisibile in cui l’uomo oppone resistenza al male e lotta per non essere vinto dalle tentazioni, quelle pulsioni e suggestioni che sonnecchiano nel profondo del suo cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una prepotenza aggressiva, fino ad assumere il volto di tentazioni seducenti. L’uomo può contrastare le lusinghe della tentazione, ma non annientarle definitivamente, e per questo il cristiano prega ogni giorno di non soccombere di fronte alla tentazione (Mt 6,13). Davvero, secondo l’acuta sintesi di Origene, «la tentazione rende l’uomo un martire o un idolatra». Purtroppo quanti conoscono oggi quest’arte della lotta, che ancora la mia generazione ha ricevuto in eredità da comuni e non rare guide spirituali? Vittime di tale ignoranza, molti cristiani si sono assuefatti a soccombere alle tentazioni, convinti che contro di esse non ci sia nulla da fare, perché nulla hanno mai imparato al riguardo.
Ebbene, la lotta contro le tentazioni è durissima, ma senza di essa il cristiano si arrende alla mentalità mondana, cede al male; egli comincia con il far convivere in sé atteggiamenti religiosi e alienazioni idolatriche, in una sorta di schizofrenia spirituale, per poi giungere a svuotare del tutto la fede. Quando infatti si inizia a non vivere come si pensa, si finisce per pensare come si vive! Occorre dunque prendere sul serio tale combattimento: chi ride di abba Antonio, oppresso nel deserto dagli spiriti malvagi che gli appaiono «sotto forma di belve e di serpenti», è un superficiale che non si conosce, oppure è una persona costantemente vinta dalle tentazioni, al punto da non accorgersene più. Va però detto con chiarezza: non è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta interiore, senza un esercizio al discernimento tra bene e male, in modo da giungere a dire dei 'sì' convinti e dei 'no' efficaci: 'sì' a quello che possiamo essere e fare in conformità a Cristo; 'no' alle pulsioni egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con noi stessi, con Dio, con gli altri e con le cose, rapporti chiamati a essere contrassegnati da libertà e amore. Riprendere questo tema non significa pertanto né cadere in un dualismo spirituale, secondo il quale per affermare Dio occorrerebbe negare l’umano, né ripiombare in un atteggiamento pietistico e individualistico. Equivale invece ad affermare l’essenzialità umana e cristiana di una ascesi – parola che, non lo si dimentichi, significa 'esercizio' –, di una lotta per pervenire a una vita piena e compiuta: la vita cristiana, vita «alla statura di Cristo» (Ef 4,13).
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