La guerra fredda e il monastero

Il monastero di Etropolskj - Bulgaria
Il monastero di Etropolskj - Bulgaria
Avvenire, 21 agosto 2011
di ENZO BIANCHI
Nell’estate del 1971 vissi una delle avventure spirituali per me più memorabili. Con il fratello e la sorella che mi accompagnavano in quel viaggio avevamo deciso di rientrare dalla Romania attraverso la Bulgaria

Avvenire, 21 agosto 2011

Fin dai primi anni della mia vita a Bose, la mia naturale passione per i viaggi – una passione del resto tardiva: fino all’adolescenza ero quasi terrorizzato dal dover uscire dal mio Monferrato natale – si è orientata verso monasteri antichi e nuovi in cui scoprire le comuni radici e cogliere il senso di tradizioni e differenze. La nostra avventura di vita comunitaria a Bose era appena avviata, con le asperità e gli entusiasmi propri di ogni inizio: con il nostro lavoro faticavamo a procurarci il necessario per vivere dignitosamente nelle poche case abbandonate e prive di energia elettrica e di riscaldamento, eppure non ci facevamo mai mancare almeno un viaggio “monastico” ogni anno – Francia, Spagna, Belgio, Germania e Svizzera – per coltivare i rapporti fraterni con abazie benedettine e trappiste o con le allora giovani comunità di Taizé e Grandchamp. Ma non solo: l’Europa orientale mi affascinava, terra di cui avevo imparato a conoscere le ricchezze spirituali che cercavo di tradurre, anche letteralmente, per la nostra cultura e il nostro vissuto ecclesiale occidentale. Ma terre che vivevano la cattività comunista e in cui i cristiani conoscevano la persecuzione...

Così, per recarmi a Costantinopoli dall’amato patriarca Athenagoras come pure per raggiungere il Monte Athos, invece di utilizzare il traghetto da Brindisi, preferivo sempre attraversare in auto l’intera Jugoslavia, sfiorando l’Albania per giungere a Salonicco. Viaggi davvero avventurosi, con una piccola 127 che si destreggiava in mezzo ad autotrasporatori bulgari su strade spesso approssimative ma che in compenso consentiva preziose digressioni per visitare i monasteri, in particolare quelli di Serbia e Kosovo. Impresa tutt’altro che facile: non solo le indicazioni stradali erano praticamente assenti, ma era quasi impossibile per un’auto con targa occidentale passare inosservata e aggirare il divieto di sostare nei pressi di edifici religiosi. Così, diverse volte, volendomi fermare più a lungo in un monastero, dovevo nascondere l’auto al riparo da sguardi inquisitori: una volta, a Zi?a l’impresa non mi riuscì e, anziché trascorrere la notte in monastero, io e i miei due compagni la passammo nella cella della locale stazione di polizia, finché al mattino un commissario benevolo ci invitò a partire in fretta quand’era ancora buio senza ripassare dal monastero... Eppure erano rischi e fatiche che affrontavo con la gioia nel cuore, per poter visitare monaci e monache con cui ero andato intessendo legami fraterni.

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