Non di solo pane

1952, olio su tela
FRANCO GENTILINI, Il Banchetto
La Stampa, 25 settembre 2011
di ENZO BIANCHI
Il pane necessario per vivere, senza il quale si va incontro alla morte, non basta a far vivere gli umani. È necessario qualcosa oltre il pane


La Stampa, 25 settembre 2011
di ENZO BIANCHI

Si legge nel libro del Deuteronomio: «[Il Signore] ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore » (Dt 8,3). Gesù riprende queste parole mentre si trova nel deserto, assalito dalla fame dopo quaranta giorni di digiuno, ed è tentato di ricorrere al miracolo di trasformare in pane i sassi che stanno davanti a lui. Ma al divisore egli risponde: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”» (Mt 4,4; cf. Lc 4,4).

Il pane necessario per vivere, senza il quale si va incontro alla morte, non basta a far vivere gli umani. È necessario qualcosa oltre il pane, qualcosa di cui il pane è solo segno, qualcosa che come il pane sappia portare vita, ma una vita altra rispetto a quella meramente biologica. L’uomo si è umanizzato il giorno in cui ha inventato e fatto il pane, ma la sua umanizzazione ha bisogno di qualcosa che trascenda il pane. C’è infatti nell’uomo una fame, un desiderio, una ricerca che non si ferma al cibo: il cibo è assolutamente necessario, ma non è sufficiente perché un uomo si umanizzi. Ognuno di noi, lo sappia o no, per istinto vuole vivere e dunque cerca, guadagna pane con il lavoro, ma ciò non gli basta: ognuno cerca un senso nella vita, perché è abitato da una fame, la fame di divenire essere umano.
L’umanità, questa condizione che ciascuno di noi vive e di cui è responsabile, è una condizione di transizione tra l’animalità e l’umanità vera, e il cammino che siamo chiamati a percorrere è quello mai finito dell’umanizzazione. Il grande etologo Konrad Lorenz ha affermato che «l’anello mancante tra la scimmia e l’uomo siamo noi»: ciascuno di noi è questo anello, perché il nostro compito è quello di umanizzarci. L’uomo ha fame di diventare ciò che crede di essere, e questo cammino è nelle sue mani, è consegnato alla sua libertà, alle sue fatiche individuali e collettive, alla sua responsabilità. Diventare umani: questo è il grande compito che sta davanti a ciascuno di noi! L’umanesimo e il cristianesimo convergono su tale obiettivo. Questa ricerca di senso, cioè

di orientamento e direzione (Dove vado?),

di significato (Cosa significa? Voglio comprendere!),

di sentire il reale (Come posso vivere in pienezza con i cinque sensi?),

fa sì che l’uomo si umanizzi. Questo è il pane dell’uomo al di là del pane. Occorre rifiutare la proposizione di Jean-Jacques Rousseau secondo cui «l’uomo è naturalmente buono, ma è la società che lo deprava, lo rende cattivo», perché non è mai esistito un «buon selvaggio», ma l’umanità deve essere conquistata giorno per giorno. Il nostro compito è quello di resistere di fronte alla disumanizzazione, alla barbarie, alla bestialità che è in noi e di attivarci perché sia possibile una convivenza più umana, una terra più abitabile, una società, una polis in cui gli uomini si umanizzino sempre di più.

Pubblicato su: La Stampa