La quiete e il valore delle parole

Bronzo, 2008
IGOR MITORAJ, Alfeo
La Repubblica
sabato 10 dicembre 2011
di ENZO BIANCHI
Ma perché fare silenzio, perché imparare il silenzio in modo progressivo e ragionevole?

La Repubblica, sabato 10 dicembre 2011
di ENZO BIANCHI

Ai nostri giorni siamo invasi dalle parole, dal rumore, dalle chiacchiere, al punto che l’inquinamento sonoro può ormai essere annoverato tra i problemi ecologici. Nella società cacofonica in cui viviamo, inoltre, la parola è diventata quasi uno strumento obbligato per l’affermazione e la celebrazione di se stessi, anche a costo di assumere forme quanto mai aggressive e capaci di ferire: «parole come armi», è stato giustamente detto… Si comprende dunque perché molti avvertano il bisogno del silenzio, vorrebbero cioè imparare a tacere per riscoprire la bellezza del silenzio e, insieme, la bellezza di forme di comunicazione non verbali. Tacere equivale a digiunare verbalmente e il silenzio è paragonabile al digiuno fisico, entrambi salutari quando lo esigono il corpo e la psiche, cioè l’intera persona umana.

Occorre però subito precisare che il silenzio non consiste semplicemente nell’assenza di rumore e di parola, ma è una realtà plurale. C’è un silenzio necessario in certi luoghi, e come tale imposto, c’è un silenzio inscritto con segni all’interno della scrittura stessa, c’è silenzio tra le note musicali… Accanto a questi silenzi funzionali, ve ne sono altri negativi o addirittura mortiferi: silenzi che «pesano», che rendono inquieti e spaventano, silenzi opprimenti, silenzi di morte, abissi di silenzio! Di più, esistono silenzi complici e pieni di viltà, silenzi che dovrebbero essere spezzati dalla forza di un profeta, silenzi di ostilità che paralizzano la comunicazione, silenzi amari di solitudine sofferta…
Vi sono però anche silenzi positivi, irrinunciabili. In primo luogo il silenzio rispettoso della parola dell’altro, ma anche il silenzio scelto nella consapevolezza che «c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare». Un silenzio particolare è quello dell’amicizia e dell’amore: l’amore crea un linguaggio non verbale, molto più eloquente e intenso di qualsiasi parola, linguaggio in cui il silenzio stesso diventa parola. Nasce così quel silenzio di presenza e di pienezza, in cui il semplice stare insieme è fonte di gioia: silenzio che è ascolto amoroso, attento, contemplativo, raccolto; «silenzio sottile» che si fa voce come per Elia sul monte Oreb. Vi è infine il silenzio interiore, nel cuore di ciascuno di noi, per accogliere la presenza degli altri e dell’Altro, Dio: è quella disposizione che scava nel nostro intimo uno spazio per il Signore e consente che la sua Parola prenda dimora in noi.

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