Miracoli: il tocco di Dio che cambia la vita
domenica 11 dicembre 2011
di ENZO BIANCHI
Nel bisognoso c’è Cristo, e chi serve il bisognoso serve Cristo, ne sia consapevole o meno. Ora, questa verità decisiva su cui si giocherà il giudizio alla fine dei tempi
Avvenire, domenica 11 dicembre 2011
di ENZO BIANCHI
I vangeli testimoniano che Gesù ha incontrato un gran numero di persone afflitte da svariate malattie: menomazioni fisiche (zoppi, ciechi, sordomuti, paralitici), malattie mentali (gli «indemoniati», che designano persone afflitte di volta in volta da epilessia, isteria, schizofrenia, mali la cui origine era attribuita a un impossessamento diabolico), handicap e infermità più o meno gravi (lebbrosi, la donna emorroissa, la suocera di Pietro colpita da grande febbre). L’incontro con questa umanità sofferente, con i volti e i corpi sfigurati di tanti uomini e donne, ha costituito per Gesù una sorta di Bibbia vivente, in carne e ossa, da cui egli ha potuto ascoltare la lezione della debolezza e della sofferenza umane, ha potuto apprendere l’arte della compassione e della misericordia. Possiamo dire che tali incontri hanno rappresentato per lui un magistero dell’umano e una rivelazione del divino, un luogo di apprendimento del vivere e del credere: Gesù non ha imparato solo da ciò che lui stesso ha sofferto (cf. Eb 5,8), ma anche dalla sofferenza degli altri.
I vangeli sottolineano il fatto che Gesù cura i malati (il verbo greco therapeúein, «curare», ricorre 36 volte, mentre il verbo iâsthai,«guarire», 19 volte), e curare significa innanzitutto servire e onorare una persona, averne sollecitudine. Gesù vede nel malato una persona, ne fa emergere l’unicità e vi si relaziona con la totalità del suo essere, cogliendone la ricerca di senso, vedendolo come una creatura disposta all’apertura di fede-fiducia, desiderosa non solo di guarigione, ma di ciò che può dare pienezza alla sua vita. In proposito mi preme fare una precisazione che ritengo decisiva. Al cuore degli episodi in cui Gesù è alle prese con persone malate non vi sono le tecniche di guarigione e l’attività taumaturgica o esorcistica, ma l’attitudine umana all’ascolto e all’accoglienza delle persone, vi è l’umanissima realtà dell’incontro: non vi è dunque la malattia, ma la persona umana. Gesù non incontrava il malato in quanto malato: ciò avrebbe significato porsi in una condizione in cui l’altro veniva rinchiuso in una categoria, avrebbe significato ridurre l’altro a ciò che era solo un aspetto della sua persona. No, Gesù incontrava l’altro in quanto uomo come lui, membro dell’umanità, uguale in dignità a ogni altro uomo. E nell’incontrare e ascoltare un uomo Gesù sapeva coglierlo, questo sì, anche come una persona segnata da una particolare forma di malattia.
In breve, con la sua pratica di umanità Gesù insegna che curare è in primo luogo incontrare ed entrare in relazione con un uomo o unadonna. Accostandosi alle persone non con il potere e il sapere del medico, ma con la responsabilità e la compassione dell’uomo, Gesù si presenta nella vulnerabilità e nella debolezza, e così riesce a incontrare l’umanità ferita dei malati entrando con loro in un rapporto autenticamente etico.
Fatte queste considerazioni generali, cerchiamo ora di cogliere alcuni tratti specifici del comportamento di Gesù Cristo nel suo porsi accanto al malato, tratti che configurano una vera e propria arte della relazione.
Pubblicato su: Avvenire