L'etica delle tasse

Olio su tela, 1923
VIRGILIO GUIDI, In tram
La Stampa, 15 gennaio 2012
di ENZO BIANCHI
Questo smarrimento del senso di appartenenza – il Comune non è più “comune” a nessuno, lo Stato non siamo noi, l’Europa è un mostro estraneo


La Stampa, 15 gennaio 2012
di ENZO BIANCHI

Sono quasi duemila anni che alcune parole dell’apostolo Paolo rivolte ai cristiani di Roma risuonano con forza per tutti i discepoli di Gesù Cristo: “Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto”. Parole che, accostate a quelle che gli evangelisti mettono in bocca a Gesù stesso – “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” – dovrebbero orientare il comportamento dei cristiani verso le autorità civili, in particolare per quanto riguarda il contributo economico da versare per la gestione della cosa pubblica e per i beni comuni che lo Stato garantisce, non affidabili alla sfera privata dell’economia per il semplice fatto che i “profitti” che se ne traggono sono forzatamente dilazionati nel tempo. Ma se la risposta di Gesù a un quesito legato specificatamente a un “tributo da pagare a Cesare” è sovente ricordata ogni qualvolta si discute di laicità dello stato o di atteggiamento da assumere da quanti sono al contempo cristiani e cittadini, non altrettanto si può dire dell’ammonimento di Paolo che viene troppo sbrigativamente relegato tra le indicazioni “datate”, connesse a una situazione storica e sociale ormai scomparsa quale quella dell’impero romano.

Eppure credo che possa essere prezioso, non solo per i cristiani, arricchire l’attuale riflessione sulle tasse,  con questo concetto anche neotestamentario di “rendere” il dovuto a chi gli spetta, con questo invito al discernimento degli ambiti, al rispetto delle prerogative e dei limiti di ogni “signoria”, sia essa politica o religiosa. Tale discernimento infatti mi pare strettamente legato alla consapevolezza o meno della propria appartenenza a una “comunità”, del sapersi membra di un determinato corpo, ecclesiale o sociale. Quando, pochi anni fa, uno dei più seri, lucidi e preparati ministri dell’economia che il nostro paese abbia mai avuto definì “bellissimo” il fatto di pagare le tasse, venne deriso: ormai smarrita ogni etica civile collettiva, chi aveva osato ricordare la bontà di un gesto solidale come il pagare le imposte finalizzate al bene comune non poteva che essere messo alla berlina. Ma il problema oggi come allora è proprio qui, nella mancanza di coscienza collettiva: non si può chiedere un gesto di condivisione a chi non sa più di essere parte di un organismo vivente, come non si può chiedere alle braccia o alle gambe di faticare per un corpo che esse considerano estraneo.

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