Tentazioni. Gesù, Satana e il potere dell'orgoglio
di ENZO BIANCHI
Gesù persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità
Avvenire, 4 marzo 2012
di ENZO BIANCHI
Lc 4,3-4:«Ora, gli disse il diavolo: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». E Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Dt 8,3)».
Occorre in primo luogo mettere l’attenzione sul «se». Gesù è stato definito Figlio di Dio dalla voce venuta dal cielo, ed è su questa condizione che il diavolo fa leva per insidiarlo: se tu sei veramente tale, puoi rifiutare la qualità umana, qualità svelata dalla fame che potrebbe condurti alla morte. Non è un caso che la tentazione primordiale riguardi l’oralità: è su questo terreno che l’uomo e la donna nel giardino dell’in-principio sono tentati e cadono. In altre parole, le tentazioni più forti si radicano nella dimensione «primordiale» della persona: appetito, aggressività, egoismo philautico… Il nostro rapporto con il cibo e il modo in cui mangiamo rivelano infatti le nostre radici, le radici del nostro comportamento in relazione a noi stessi, agli altri e a Dio.
Ma la tentazione: «Se tu sei Figlio di Dio» è tesa anche a sviluppare una falsa immagine di Dio, quella suggerita dal serpente ad Adamo ed Eva: «Voi potete essere Dio» (cf. Gen 3,5). Ovvero: il diavolo insinua a Gesù che, se lui è davvero Figlio di Dio, potrà fare a meno dei limiti, del limite creaturale che segna l’uomo, e perciò sarà capace di trasformare magicamente le pietre in pane! Davanti a Gesù vi è una pietra, e la tentazione è quella di comandarle di diventare pane: dal minerale al cibo, dalla natura alla vita, senza passare attraverso gli altri e senza tenere conto di essi; mangiare piuttosto che avere fame, e farlo in modo immediato, per soddisfare la fame, senza alcun cammino di comunione. È un sogno di onnipotenza: avere accesso e potere immediato, solitario sulle cose! È come se il diavolo dicesse a Gesù: «Tu puoi soddisfare il tuo bisogno di cibo senza sforzo, cioè senza lavoro, e senza condivisione, cioè senza gli altri». Dalla pietra al pane, direttamente: ma il pane è grano seminato, coltivato, raccolto, macinato, impastato, cotto, distribuito; dire pane significa dire che il cibo è sociale, dunque va consumato socialmente nella logica della comunione. Edgar Morin ha affermato in proposito con intelligenza che l’uomo è un animale bio-culturale, è costituito di vita animale e di cultura.
A fronte di tutto ciò, basta pensare alla nostra esperienza quotidiana: se c’è una mela sulla tavola e io ho fame, sono tentato di mangiarla senza tenere conto degli altri, dimenticando che quel frutto è stato coltivato da altri, viene dalla terra benedetta da Dio e destinata a tutti gli uomini. Sì, mangiare è sempre inserirsi in una comunione con Dio e con gli altri; ed è nella situazione di fame che si può valutare più che mai la qualità della nostra vita, perché ciascuno di noi è tentato di nutrirsi senza considerare i fratelli e Dio. Anche in questo l’eucaristia, il «pasto comune» per eccellenza (cf., al contrario, 1Cor 11,20-22) è il magistero della vita cristiana.
La prima tentazione dell’uomo è dunque quella di ignorare gli altri, come se egli potesse soddisfare la sua fame impadronendosi dei beni necessari alla sussistenza in modo immediato ed egoistico. Eppure vivere non è semplicemente mangiare, ma è mangiare con gli altri, e il pane che soddisfa la fame è il pane della fraternità, è il pane che implica il lavoro, l’opera degli uomini, la polis. Di più, è quel pane che il singolo è chiamato a ricevere dagli altri e a dare loro a sua volta; non a caso Gesù nella parabola del giudizio finale ha detto che tutta la nostra vita si gioca su queste azioni semplici, umanissime: mangiare e dare da mangiare, bere e dare da bere, vestirsi e vestire, abitare e ospitare (cf. Mt 25,31-46)… E nel mangiare entra anche il rapporto con Dio, perché a lui noi chiediamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6,11); il pane lo riceviamo da Dio, lo invochiamo da lui ogni giorno. Ciò è veramente l’esatto contrario del comandare a una pietra che diventi pane!
Pubblicato su: Avvenire