Fuoco nonviolento

Monaci buddhisti
Monaci buddhisti
La Stampa
16 dicembre 2012
di ENZO BIANCHI
Con la loro vita e la loro morte vogliono affermare la grandezza di una religione e di una cultura che non accetta di piegarsi al male, vogliono testimoniare a chi è scoraggiato dall’oppressione

La Stampa, 16 dicembre 2012 

Ormai rischiamo l’assuefazione: una notizia d’agenzia ripresa ogni tanto nelle pagine interne, qualche colonna una volta all’anno nell’apposita “giornata mondiale per il Tibet”, un rapido accenno in margine a una visita del Dalai Lama, un box accostato a un resoconto di incontri diplomatico-commerciali. È tutto quello che giunge a noi della tragedia del popolo tibetano e della testimonianza di quanti non cessano di urlare, con le loro vite e la loro morte, alle nostre orecchie divenute sorde. Certo, il sentimento di rassegnazione prevale quando si misura l’impotenza di fronte alla realpolitik, ma la coscienza ci impedisce di lasciar tacere la provocazione nonviolenta dei monaci tibetani, ormai un centinaio dall’inizio della protesta, che decidono di darsi fuoco per denunciare l’oppressione del loro popolo, della loro cultura, della loro religione.

Credo che i monaci stessi sappiano che il loro gesto difficilmente varcherà le frontiere  e tanto meno potrà mutare le decisioni del potere. Certo, qualcosa smuove nelle coscienze di chi ne viene a conoscenza, altrimenti non si spiegherebbe perché le autorità cinesi stiano cercando di reprimere il fenomeno, arrivando ad arrestare quanti sostengono e incoraggiano i candidati al martirio, ma non ci si può illudere che una maggiore consapevolezza da parte di pochi possa cambiare la situazione di oppressione del popolo tibetano. Allora, perché ci sono sempre nuovi giovani pronti a darsi alle fiamme? A chi vogliono parlare con quel gesto estremo? Cosa sperano di ottenere? E da parte nostra, se siamo convinti di non poter fare nulla perché le cose cambino, che senso ha continuare a seguire vicende che disturbano la nostra coscienza tranquilla? In realtà, ci siamo talmente abituati a misurare le azioni solo in base al risultato, a breve o lungo termine, che fatichiamo a concepire che qualcuno decida di agire gratuitamente, solo perché così ritiene giusto fare, senza attendersi successi o ricompense. Forse, vale allora la pena lasciarci interrogare da questo monaci disposti a consumare la propria vita tra le fiamme come incenso.

Pubblicato su: La Stampa