Inferno, quel fuoco acceso dalla nostra libertà

2007, tempera su carta
PIERO RUGGERI, Composizione
Avvenire, 1 dicembre 2013
di ENZO BIANCHI
Di fronte al bene o al male l’uomo, seppure in una condizione di fragilità propria della sua natura, resta sempre libero di aderire all’uno e rifiutare l’altro

Avvenire, 1 dicembre 2013
di ENZO BIANCHI

Con questo articolo completiamo il nostro cammino di meditazione sui novissimi, le realtà ultime e definitive che ci stanno davanti mentre noi viviamo nelle realtà di questo mondo e della storia che sono penultime.

Constatiamo tutti, ed è stato più volte denunciato, che sui novissimi regna negli ultimi decenni un certo silenzio anche nello spazio ecclesiale, ma dobbiamo riconoscere che soprattutto sull’inferno non solo c’è mutismo nella predicazione, ma c’è una reale difficoltà nel pensarlo come voluto da Dio e da Dio inflitto almeno a una parte dell’umanità, quella peccatrice e non convertita, non riconciliata con lui. Per molti cristiani l’inferno eterno plasma l’immagine di un Dio perverso, vendicatore, finanche sadico; e per i non cristiani l’inferno sembra un Auschwitz eterno, qualcosa che solo un potere malefico potrebbe inventare. Anche Teresa del Bambino Gesù sentiva una grande reticenza nei confronti dell’eternità della pena, e molti uomini e donne “spirituali” (pneumatikoi) hanno dichiarato la loro impossibilità a concepire la compatibilità di un luogo di tormenti eterni con la bontà di un “Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4).

Ma questa difficoltà è antica ed è stata avvertita con particolare forza in alcune epoche della storia del cristianesimo. Nel III secolo molti padri della chiesa, tra i quali Origene, pensavano a una salvezza universale; altri in diverse tradizioni cristiane hanno mostrato un amore misericordioso estremo, fino a pregare di essere mandati loro all’inferno, purché tutti i loro fratelli e sorelle in umanità trovassero la salvezza; altri ancora, come Isacco il Siro (VII secolo), sono giunti a pregare per una salvezza cosmica in cui tutte le creature, sapienti o insipienti, buone o malvagie, sarebbero state perdonate dall’infinita misericordia di Dio. Nel cattolicesimo italiano resta folgorante l’amore di Caterina da Siena, questa donna fatta fuoco, che scriveva: “Come potrei sopportare, o Signore, che uno solo di quelli che hai creato a tua immagine e somiglianza si perda e sfugga dalle tue mani? No, per nessuna ragione io voglio che uno solo dei miei fratelli si perda, uno solo di quelli che sono uniti a me attraverso una stessa nascita”.

Tutti costoro sono dei santi e delle sante che seguono l’esempio di Mosè e di Paolo. Mosè che dice a Dio: “Questo popolo ha commesso un grande peccato … Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… Altrimenti, cancella me dal tuo libro che hai scritto!” (Es 32,31-32). E secondo la tradizione ebraica arriva fino ad affermare: “Signore del mondo, perisca Mosè e mille come lui, ma non si perda un’unghia di uno di Israele!”. Paolo, dal canto suo, esprime la propria solidarietà con gli ebrei suoi fratelli, dicendosi disposto a essere lui scomunicato e maledetto, separato da Cristo, se questo può giovare all’Israele che non ha riconosciuto Gesù come Messia (cf. Rm 9,1-3).

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