Caro Diogneto - 4

JESUS, aprile 2009
di ENZO BIANCHI
I cristiani sanno che la loro maniera di riferirsi a Dio e a Cristo appare per altri relativa, così come ai loro occhi tutto ciò cui l’altro crede o in virtù del quale agisce è relativo


JESUS, aprile 2009

C’è un termine che sovente risuona nello spazio cristiano quando si guarda alla società di oggi: è la parola “relativismo”, una parola che rischia di essere ossessiva e soprattutto di diventare disprezzo della cultura dominante nell’occidente, accusa arcigna mossa da cristiani arroccati e impegnati solo su posizioni difensive che finiscono per rinnegare ogni possibilità di dialogo con gli uomini di oggi, in particolare i non cristiani. Sì, c’è tanta confusione intorno a questa parola, usata sovente in modo ambiguo o errato.

Ma cosa si intende in verità con questo termine? Il relativismo designa un’opzione di pensiero e i relativi comportamenti per i quali non esiste nessuna verità assoluta, ma solo esperienze diverse e molteplici. Il cardinal Ratzinger, poco prima di accedere al soglio pontificio, ha giustamente denunciato “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che ritiene come criterio ultimo il proprio ‘io’ e i suoi desideri” (8 aprile 2005). Effettivamente questo relativismo costituisce una grande tentazione nella nostra società e si presenta sotto diverse forme: un relativismo religioso secondo il quale tutte le religioni e le spiritualità si equivalgono, un relativismo etico secondo cui ciascuno ha i propri principi morali, un relativismo filosofico per il quale “verità” è solo una parola, dato che ognuno ha la sua. Nella nostra società, in cui l’individualismo si va imponendo ogni giorno di più e in cui la pluralità di culture, religioni ed etiche è realtà quotidiana, si è indubbiamente operato e si opera un profondo mutamento nel rapporto tra gli uomini e le istituzioni e i principi fondativi.