Caro Diogneto - 8
di ENZO BIANCHI
Talora mi viene chiesto di tracciare un cammino per giungere alla fede da parte di chi si confessa non cristiano
JESUS, Agosto 2009
Talora mi viene chiesto di tracciare un cammino per giungere alla fede da parte di chi si confessa non cristiano, a volte perché chi me lo chiede è interessato in prima persona, altre volte per indurmi a dire a voce alta le ragioni della fede. È una domanda per la quale non esistono risposte facili, né tanto meno ricette: si può tentare di affrontarla a partire dalla propria esperienza e dalla lettura di esperienze di persone che si sono accompagnate od osservate durante questo percorso.
Quando parliamo di cammino di fede, dobbiamo essere chiari: credere non significa “sapere”, perché la fede è adesione mentre il sapere sta nello spazio della conoscenza, la quale dà contenuto alla fede ma non coincide con essa. La fede, infatti, non fornisce certezze bensì convinzioni, né va dimenticato che la fede resta un dono di Dio – “non di tutti è la fede” (2Tess 3,2) – e nello stesso tempo un atto personale di libertà da parte dell’uomo.
Nella plurisecolare epoca della cristianità, il cammino della fede è stato un percorso classico: si “nasceva” e si cresceva cristiani, la chiesa madre nutriva il fedele e lo faceva crescere fino a quando questi, con maturità, faceva propria la fede ereditata dalle generazioni precedenti e accedeva all’adesione a Dio e quindi a Gesù Cristo. Oggi non è più così: c’è ormai una “rottura di memoria”, una mancanza di trasmissione della fede, e i cristiani sono di fatto una minoranza, significativa e feconda, ma non più in misura di essere un “ambiente”, un alveo educativo alternativo alla società secolarizzata e, diciamo pure, paganizzata.
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