Caro Diogneto - 24
di ENZO BIANCHI
Nel suo intervento in occasione del 50° anniversario della creazione del Segretariato (poi divenuto Pontificio Consiglio) per l’Unità dei cristiani, il metropolita ortodosso Ioannis Zizioulas ha ribadito
JESUS, dicembre 2010
Nel suo intervento in occasione del 50° anniversario della creazione del Segretariato (poi divenuto Pontificio Consiglio) per l’Unità dei cristiani, il metropolita ortodosso Ioannis Zizioulas ha ribadito quanto da lui affermato a più riprese: “Gli ortodossi devono rinforzare la loro unità universale e anche la loro concezione del primato; i cattolici devono rinforzare la dimensione sinodale”. Questo autorevole e fraterno invito sollecita una riflessione sulla spiritualità di comunione che va al di là delle esigenze poste dal dialogo ecumenico con gli ortodossi. O meglio, rivela una volta di più come l’ecumenismo non riguardi un ambito specifico della vita della chiesa, ma abbracci la natura e la qualità stessa della comunione vissuta all’interno della comunità dei discepoli del Signore.
In questa ricerca di autenticità della comunione ecclesiale credo ci possano venire in aiuto le indicazioni che troviamo già presenti nel Nuovo Testamento e nella prassi della chiesa primitiva. Un’esigenza che oggi avvertiamo forse con intensità particolare è che la comunione possa esprimersi in modo plurale. Del resto, l’unità nella diversità è attestata fin dalla nascita del canone delle Scritture: dell’unico Signore Gesù Cristo – che rimane “lo stesso ieri, oggi e sempre” (Ebr 13,8) – ci sono stati trasmessi quattro vangeli, perché non la fissità di un libro, di uno scritto, ma la dinamicità dello Spirito santo è all’origine del cristianesimo. C’è fin dall’inizio pluralità di espressioni scritturistiche, di ecclesiologie, di concezioni cristologiche, di prassi liturgiche, di testimonianze e forme della missione, di accenti spirituali… Questa pluralità – che riflette la “policromia” della Sapienza di Dio – e l’inesauribilità del mistero di Cristo accolto in culture diverse, è ricchezza di doni, ma è anche negazione di ogni fondamentalismo e di ogni integralismo cristiano. Fin dalle origini, l’unico Gesù Cristo dà spazio a diversi cristianesimi – basti pensare a quello di matrice giudeo-cristiana e a quello legato a discepoli provenienti dal paganesimo e dall’ellenismo – perché il Cristo creduto è connesso a comunità diverse di credenti, che si aprono a una conoscenza diversa e a un’attuazione diversa del mistero. Nelle Scritture neotestamentarie, nelle liturgie, nella vita delle chiese le diversità non sono negate ma assunte, e così l’unica verità, che è Gesù Cristo, è detta, celebrata, pensata in modi differenti.
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