Caro Diogneto - 32
di ENZO BIANCHI
Oggi come sempre non servono voci uniformi o cristiani passivi e muti, né adulatori acritici dell’ambiente ecclesiastico: la chiesa e la società hanno invece bisogno di voci differenti autenticamente cristiane, libere e desiderose di koinonia
JESUS, Agosto 2011
È bastato che alcune associazioni di laici cattolici di diversa estrazione e orientamento si ritrovassero a ragionare insieme perché ci si sbizzarrisse a ventilare ipotetiche rinascite di un partito cattolico, vanificando così l’occasione di approfondire una riflessione che abbracci sia il ruolo dei cristiani nella società sia, più in particolare e a monte di questo aspetto, l’attuale stato di salute del dibattito intraecclesiale. Da anni ormai andiamo affermando l’esigenza di avere spazi per un confronto fraterno nel laicato non solo cattolico ma anche appartenente ad altre confessioni cristiane: confronto che non può che giovare all’intera collettività, anche qualora non dovesse sfociare in un’opzione politica unificante.
Molti credenti perseverano nella laboriosa ragionevolezza della loro fede e vita cristiana, nonostante la scarsa visibilità loro offerta e la ridotta ricettività verso il loro impegno, interrogandosi anche sul “sapore” del sale della loro testimonianza quotidiana. Ma quella che sembra tuttora latitare è una comunionalità più profonda e fraterna tra gerarchia e fedeli, tra istanze locali e problematiche globali. Sembra quasi che, logoratasi da tempo la passione per il confronto, nella chiesa molti canali di comunicazione siano oggi inariditi, che si fatichi a riprendere il dialogo franco dei fedeli tra loro e la feconda dialettica tra questi e l’autorità. Così, al posto di una contrapposizione tra magistero docente e popolo discente, assistiamo piuttosto a un rarefarsi di contenuti e a una rassegnata rinuncia a qualsiasi vera, e perciò faticosa, comunicazione. È una situazione che non può rallegrare nessuno, nemmeno chi è chiamato a svolgere un ministero magisteriale, perché questa coesistenza non conflittuale è sintomo non di una maggiore obbedienza o di un più acuto senso di comunione, ma piuttosto di pigrizia spirituale, mancanza di attesa, disillusione o rassegnazione nella ricerca di una vita ecclesiale più conforme al Vangelo.
Consapevoli che sul cristiano non può e non deve regnare né la paura né la passività – sentimenti propri dei “sudditi”, mentre invece l’unica sottomissione è quella al Signore e alla sua volontà – andrebbe recuperata la parresia, quella franchezza e audacia di parola che animava i rapporti tra i primi discepoli del Signore: solo così, riscoprendo lo spirito di comunione e la complementarietà dei diversi carismi, potremmo rallegrarci perché l’estinguersi del fuoco della polemica non significherebbe un raffreddamento della carità bensì, al contrario, uno zelo ardente per la corsa della Parola nella storia.
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