Caro Diogneto - 36
Quanto a quelli che si dicono atei, senza Dio, noi cristiani dobbiamo rispettare la loro affermazione, chiedendoci però subito: quale Dio negano? Di quale Dio vogliono essere privi? Del Dio che noi cristiani raccontiamo, che tramandiamo culturalmente, oppure del Dio che è vita, amore, misericordia, del Dio vivente? Qui va detto con chiarezza: noi credenti dobbiamo essere consapevoli che a volte forgiamo immagini perverse di Dio, e quindi rendiamo Dio causa di bestemmia tra le genti (cf. Ez 36,20-22; Rm 2,24). Ecco perché anche di fronte a coloro che si definiscono atei, non credenti in Dio, dobbiamo innanzitutto interrogarci e rispettare il loro mistero. In ogni uomo c’è l’immagine di Dio (cf. Gen 1,26-27), che secondo i padri della chiesa non può essere cancellata neppure dai crimini peggiori commessi dall’uomo. Questa immagine rende ogni persona capace di compiere il bene, di avere una coscienza, di discernere il bene dal male. E solo Dio vede cosa accade nella coscienza, conosce la ricerca del bene praticata dai cosiddetti atei, la loro ricerca dell’amore. Essi non la chiamano ricerca di Dio ma di fatto, come ha affermato Benedetto XVI il 25 settembre scorso durante il suo viaggio in Germania, «sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i credenti “di routine”». Solo Dio conosce la vicinanza o la lontananza dal Regno di chi si dice senza Dio e di chi si dice credente.
Infine, non possiamo dimenticare che i cristiani delle origini erano accusati dai pagani proprio di essere “a-tei”, senza Dio: essi cioè risultano atei per le altre religioni, come afferma l’amico teologo Joseph Moingt. Sì, noi tutti viviamo davanti a Dio, con Dio, senza Dio. E attendiamo di vedere il suo volto di amore, di pace e di vita al di là della morte.
ENZO BIANCHI
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