Caro Diogneto - 38
Rubrica di ENZO BIANCHI
Si ripete spesso che le nostre liturgie sono noiose, asfittiche, segnate da un massiccio clericalismo. Invece di indulgere a questa sterile lamentela, si cominci a riconoscere
«presa della parola»
JESUS, febbraio 2012
Rubrica di ENZO BIANCHI
Nella vita ecclesiale, nonostante i mutamenti avvenuti con il Concilio Vaticano II – soprattutto quelli legati alla riforma liturgica, una vera benedizione per tutta la chiesa –, manca ancora un modo di «fare chiesa», di costruire la chiesa giorno dopo giorno, di darle un volto che riveli in modo più autentico il suo essere. Chiamerei questo modo «presa della parola»: in concreto ciò significa fornire occasioni (e non mi riferisco ai consigli pastorali, ai comitati, agli uffici diocesani…) in cui un/a cristiano/a possa intervenire con voce pubblica, in base al dono ricevuto, anche nell’assemblea liturgica.
Si badi bene, non si tratta di sostituire l’omelia fatta da chi presiede la liturgia, ma di creare alcune occasioni in cui sia possibile ascoltare anche le parole dei fedeli i quali, muniti del sensus fidei, sono autorizzati a parlare ai fratelli e alle sorelle. Si pensi solo a un dato: nelle nostre liturgie normalmente parla solo il presbitero e mai un fedele può rivolgere la parola agli altri… Certo, occorre rispettare l’ordine, la taxis liturgica, ma perché non studiare e quindi creare spazi per questo scambio di doni nell’assemblea cristiana?
Leggendo il Nuovo Testamento, sono sempre sorpreso di constatare come le assemblee liturgiche fossero più aperte e più comunitarie rispetto alle nostre, duemila anni dopo. Nella liturgia sinagogale – lo sappiamo bene – quando qualcuno si univa all’assemblea ed era riconosciuto come un fratello in grado di edificarla, di essere un’eco della Parola di Dio, lo si invitava a commentare le Scritture. È così che è avvenuto per Gesù, quando il capo della sinagoga di Nazaret, vedendolo tra i presenti alla liturgia, lo chiamò dicendo: «Prendi, leggi e fa’ il commento» (cf. Lc 4,16-21). Gesù era un laico, non era un sacerdote né un levita, ma poté parlare nella liturgia. Anche Paolo, pure lui laico, giunto ad Antiochia di Pisidia e recatosi in sinagoga in giorno di sabato, dopo la lettura della Legge e dei Profeti fu invitato a parlare all’assemblea: «Fratello, hai qualcosa da dire come esortazione al popolo?» (cf. At 13,15). Così Paolo poté annunciare Gesù (cf. At 13,16-43).
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